lunedì 29 settembre 2014

Gli 80 euro non fanno miracoli gli anziani più pronti a spendere

BISOGNA ASPETTARE UN PERIODO PIÙ LUNGO PER VALUTARE IL REALE IMPATTO DELLA MISURA VARATA DAL GOVERNO IL CLIMA DI INCERTEZZA FRENA ANCORA I CONSUMI SOPRATTUTTO FRA I GIOVANI RESI SPESSO CAUTI ANCHE DA OCCUPAZIONI PRECARIE


 Gli 80 euro non sono serviti a rilanciare i consumi. Almeno non per ora. Ma, come ha sottolineato lo stesso premier Matteo Renzi, che così fortemente li aveva voluti, bisogna guardare alle ricadute su un periodo di tempo maggiore: «Il fatto che gli effetti del decreto legge sugli 80 euro non siano immediatamente percepibili negli indicatori macroeconomici non significa che non siano importanti - ha affermato Renzi - Nel medio periodo esprimeranno la loro forza ma noi lo abbiamo fatto per altri motivi, ovvero un’esigenza di giustizia sociale». Dalla fine di maggio, periodo a cui risalgono le prime buste paga contenenti il bonus, ad oggi la crisi dei consumi si è aggravata. Ma il trend è diverso a seconda della fascia di età e di occupazione. spiega «Dalle nostre rilevazioni risulta che la propensione a spendere il bonus è molto più alta mano a mano che si alza l’età dell’intervistato. Fra le famiglie più giovani si riscontra invece il comportamento opposto», racconta Romolo De Camillis, retailers director di Nielsen, società che agli effetti del bonus ha dedicato un approfondito studio. La ricerca è stata commissionata da Conad nell’ambito di Osserva Italia, la piattaforma multimediale di Affari&Finanza-La Repubblica che monitora l’andamento dei consumi e degli stili di vita degli italiani. Secondo l’esperto di Nielsen la precarietà della situazione lavorativa, molto diffusa soprattutto fra i giovani, crea paura e incertezza e in questa situazione risulta naturale mettere da parte gli 80 euro piuttosto che spenderli. Inoltre molte persone che hanno ricevuto il bonus lo vivono come una “partita di giro”: lo Stato con una mano elargisce gli 80 euro ma con l’altra incassa tasse più alte rispetto al passato, soprattutto sulla casa. A conti fatti — è il ragionamento di molti — il bonus è come se non venisse erogato visto che l’aumento delle imposizioni è superiore a quella cifra. «Va però anche detto — aggiunge De Camillis — che non abbiamo una controprova, ovvero non sappiamo che cosa sarebbe successo se il bonus non fosse stato erogato». L’unica certezza è che «gli Italiani non sono stati pronti a spenderlo». Le cose potranno cambiare solo se il mercato del lavoro mostrerà segnali di ripresa e se il reddito disponibile tornerà a crescere. Ma, almeno per ora, non se ne intravedono le condizioni. Anzi, il dibattito sull’articolo 18, a prescindere dall’efficacia o meno dell’abolizione della norma, potrebbe aumentare l’incertezza. Ancora peggio andrebbe se l’esecutivo cadesse visto che, già in passato, elezioni o cambi di governo non hanno fatto altro che avere impatti negativi sui consumi. Gli effetti di questa situazione tutt’altro che rosea si sono fatti sentire appieno sulla grande distribuzione, probabilmente il miglior termometro dei consumi. Il trimestre estivo (giugno- agosto) è stato da dimenticare e, come se non bastasse la crisi, ci si è messo pure il maltempo. «La Gdo è stata vittima di tre fattori concomitanti, la crisi dei consumi in atto da tempo, la debolezza dei prezzi di vendita e il maltempo — spiega De Camillis — I prezzi sono tecnicamente in deflazione ormai da tre mesi». Il manager di Nielsen porta ad esempio il clamoroso caso della frutta e della verdura che, oltre a soffrire per la scarsa domanda, ha dovuto fare i conti anche con l’embargo alla Russia, che ha costretto molti produttori che esportavano la propria merce verso Mosca a rivolgersi al mercato italiano, creando così un significativo aumento dell’offerta e un inevitabile calo dei prezzi. Ben più dei dati di vendita, che a livello nazionale fanno registrare da inizio anno un calo del 2% in termini di valori, rendono appieno la gravità della situazione quelli relativi al saldo fra aperture e chiusure di punti vendita. Attualmente la distribuzione moderna conta 27.966 esercizi (per un fatturato annuale complessivo di 90.5 miliardi di euro), contro i 28.450 del settembre dell’anno scorso. Sono stati dunque chiusi 484 punti vendita (al netto delle nuove aperture). Il bilancio è meno drammatico (-0,3%) se si guarda ai metri quadri della superficie di vendita, per il semplice fatto che a soffrire sono stati soprattutto i liberi servizi, ovvero i negozi di quartiere, che hanno visto il loro numero calare di 464 unità in dodici mesi (adesso sono 14.120). Hanno chiuso anche 93 supermercati, che ora sono 8221, mentre sono andati controtendenza i discount, i veri vincitori di questa crisi, che hanno visto il loro numero crescere di 68 unità (a 4.762). Hanno fatto qualche progresso anche gli ipermercati (+5 a 863). «Molti negozietti hanno dovuto alzare bandiera bianca non tanto perché i clienti abbiamo deciso di rivolgersi altrove, anzi la crisi li ha fatti riscoprire a chi ha deciso di muoversi a piedi e di lasciare a casa la macchina, ma perché essendo piccoli hanno le spalle meno larghe dal punto di vista finanziario », afferma De Camillis. Secondo l’esperto di Nielsen la razionalizzazione sul fronte dell’offerta è destinata a proseguire e non coinvolgerà solo la distribuzione ma anche la produzione. Sul fronte della domanda infine, anche se dovesse arrivare la tanto agognata ripresa, alcuni comportamenti maturati durante la crisi non cambieranno: «Gli italiani hanno imparato a spendere meno e a mangiare meglio. Chi saprà rispondere a queste esigenze uscirà più forte di prima dalla crisi», conclude De Camillis. Secondo l’esperto di Nielsen la razionalizzazione sul fronte dell’offerta è destinata a proseguire e non coinvolgerà solo la distribuzione ma anche la produzione Attualmente la distribuzione moderna conta 27.966 esercizi (per un fatturato annuale complessivo di 90,5 miliardi di euro), contro i 28.450 del settembre 2013 Segui Osserva Italia anche su: www.osservaitalia.it



29 settembre 2014

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