giovedì 30 gennaio 2020

Brexit, perché in Gran Bretagna non sono mai stati europei

Le miglia, la guida a destra, una chiesa nazionale, le guerre contro Napoleone e Hitler... Dalla quotidianità spicciola alla grande Storia questo è sempre stato un Paese a parte. Per il Regno Unito la Ue significava solo vantaggi economici, non cessione di sovranità



Prima di tutto, ricordarsi di portare l’adattatore. Perché la mini-brexit quotidiana comincia dalle prese di corrente: che, come tutti sanno, qui si ostinano a mantenere diverse da quelle europee. Ma non è solo questione di carica del telefonino: sono tutte le categorie mentali che bisogna riadattare una volta in Gran Bretagna.
Tanto per cominciare, i numeri sui cartelli stradali non indicano i chilometri bensì le miglia: e bisogna fare un po’ di calcoli per capire. Scordatevi metri e centimetri: se vi dicono che uno è alto «sei piede cinque» vuol dire che è a livello di cestista, mentre un «cinque piede due» è chiaramente un tizio brachilineo. E in cucina son dolori: mia moglie (inglese) ancora non ha capito cosa sia un chilo di pasta, lei ragiona solo in libbre e once. Insomma, dalla quotidianità spicciola alla grande Storia, questo resta un Paese a parte: e a esaminarlo da vicino si capisce che la Brexit non è una bizzarria, ma qualcosa iscritta nelle sue radici e nella sua cultura. Ricordo ancora distintamente quella strana sensazione, più di venticinque anni fa, sbucando per la prima volta dalla metropolitana a Piccadilly Circus: ero chiaramente finito da qualche altra parte.
La prima impresa era riuscire a non farsi mettere sotto attraversando la strada: perché qui guidano dall’altra parte rispetto a noi (e agli incroci ancora oggi non mi raccapezzo). Il traffico, poi, restituisce subito un colpo d’occhio inusuale: se in Europa taxi e autobus più o meno si assomigliano ovunque, qui le strade sono affollate di quelle ingombranti carrozze nere senza cavalli che chiamano black cab (i taxi neri) e di palazzine rosse che si muovono su quattro ruote (gli autobus a due piani).Alzando lo sguardo, il panorama urbano è di nuovo un unicum. L’architettura londinese è rimasta sostanzialmente quella vittoriana, con le casette a due piani al posto dei palazzi di appartamenti che dominano in Europa: e dietro c’è l’immancabile back garden, il giardino sul retro dove l’inglese ricrea la campagna in città.Anche la folla ha un aspetto diverso. Soprattutto a Londra, ma anche nelle altre città maggiori, è un carosello multicolore, un crogiuolo di etnie, un caleidoscopio di abiti di fogge diverse, dai sari ai turbanti ai niqab. In Gran Bretagna il 17 per cento della popolazione è di colore (e a Londra siamo oltre il 40 per cento): una società multietnica che per la sua composizione si avvicina più a quella americana che non al resto d’Europa.
Una mescolanza che produce un incontro di culture e religioni diverse. Ma a proposito di fede, anche qui la Gran Bretagna si differenzia dal resto d’Europa: ormai più del 50 per cento della popolazione è non credente e la Chiesa anglicana è ridotta al rango di minoranza. Una situazione opposta rispetto a quella che si riscontra in molti Paesi europei, soprattutto se si pensa a posti come l’Italia o la Polonia. A Londra il Natale è una festa molto sentita e celebrata: ma è totalmente secolarizzata, priva di ogni riferimento religioso. E parlando di religione, è questo il terreno dove si è verificata la prima Brexit. Perché lo scisma di Enrico VIII è stata la separazione dall’autorità europea (incarnata dal Papato) e l’affermazione che non vi può essere alcuna istanza superiore alle leggi britanniche: non Roma, non Bruxelles. È quel principio di sovranità (che non va confuso col sovranismo) che sta al cuore del sistema costituzionale britannico.
Da allora le isole al di là della Manica (altra distinzione, la geografia) hanno avuto una storia diversa dal Continente. Laddove la Gran Bretagna è stata sempre potenza ordinante rispetto all’Europa, impegnata a forgiarne gli equilibri, ma non a farne parte. E mentre sul Continente si succedevano le rivoluzioni, qui le istituzioni conoscevano una lenta ma costante evoluzione: innovare per conservare, era il principio di fondo. E niente lo illustra meglio come il permanere della monarchia.

Una storia che è stata spesso vissuta in opposizione al Continente: la mitologia nazionale è forgiata dalle guerre contro Napoleone e contro Hitler. Ogni volta, era dall’Europa che arrivava la minaccia alla libertà britannica: e lo spirito che ha animato questa lotta è sintetizzato dalla celebre vignetta della Seconda Guerra mondiale, quella che raffigura il soldato inglese, in piedi sulle scogliere di Dover, che scruta gli aerei tedeschi che si avvicinano in cielo ed esclama «Very well, alone!», molto bene, da soli! A fare compagnia, semmai, c’erano i Paesi dell’Impero (e oggi del Commonwealth): un orizzonte che spiega perché ai britannici l’Europa sia sempre andata stretta, visto che il loro sguardo abbracciava i cinque continenti. Anche adesso gli inglesi, quando vanno in vacanza in Francia o in Spagna, dicono: andiamo in Europa. Perché loro mentalmente si collocano da un’altra parte. E così la loro appartenenza alla Ue si è sempre basata su un equivoco di fondo. Per gli europei si trattava di un ideale da perseguire, di costruire l’unione politica, rispetto alla quale la moneta e i commerci erano lo strumento; i britannici non si sono mai sognati nulla di simile, per loro era un’area di libero scambio da cui trarre dei vantaggi economici (e guai a parlare di cessione di sovranità).
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