L’impressione
è che pensi di farcela e possa riuscirci. Seppure in tempi un po’ meno brevi di
quelli che aveva immaginato. Ma il Matteo Renzi emerso ieri dal colloquio di
oltre un’ora col capo dello Stato, Giorgio Napolitano, è apparso teso, più
asciutto e meno baldanzoso del solito. Segno che al Quirinale si è reso conto
di quali e quante difficoltà l’incarico di formare il governo comporterà. È
possibile che a fine settimana torni dal presidente della Repubblica e sciolga
la riserva. Eppure, per ora la composizione del suo esecutivo rimane avvolta da
una nuvola di nomi e insieme da una sostanziale incertezza.
Anche se il problema,
ormai, non è se farà il governo, ma che forma prenderà. Dalla sua composizione
si capirà se può davvero avere ambizioni di legislatura, come ha dichiarato
ieri Renzi dopo l’udienza da Napolitano; e se riuscirà a imporre il livello di
novità col quale nei mesi scorsi ha costruito la sua immagine di picconatore
della vecchia nomenklatura politica. Saranno decisivi le caselle dell’Economia,
sulla quale il segretario del Pd non potrà prescindere dai vincoli europei, e i
dicasteri da distribuire agli alleati.
Ieri l’Ue si è fatta
sentire, con il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, e il
commissario agli affari economici, Olli Rehn. La richiesta è quella di un «vero
europeista» all’Economia. La loro presa di posizione riflette la volontà di
puntare sul governo Renzi ma anche di assicurarsi che non deragli dagli impegni
già assunti. Difficoltà internazionali e interne si mescolano, inserendo un
residuo di incertezza. Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano diffida
dell’operazione che ha portato alle dimissioni di Enrico Letta, e delle manovre
parlamentari con FI.
Il rapporto con il Ncd si
è complicato. Per paradosso, dando l’impressione di potere sfruttare in
Parlamento un sostegno berlusconiano, Renzi in qualche modo «costringe» Alfano
a tenere duro. In più, le dichiarazioni al telefono fatte in confidenza e in
buona fede ad un finto Nichi Vendola da Fabrizio Barca, uno dei candidati al
ministero dell’Economia, hanno creato qualche imbarazzo. Accreditano, non si sa
con quale fondatezza, una forte influenza del Gruppo Espresso-Repubblica nella
scelta del ministro; e quella che Barca definisce «improvvisazione e
disperazione» del presidente incaricato.
Si
tratta di veleni sprigionati in una fase di passaggio rischiosa. E confermano
le trappole che Renzi deve prepararsi a evitare. Avere additato quattro riforme
radicali in quattro mesi su sistema elettorale, pubblica amministrazione,
lavoro e Fisco, solleva molte riserve. Non c’è solo lo scetticismo degli
avversari: si indovinano anche i dubbi di alcuni settori del Pd. Giovanni Toti,
consigliere politico del Cavaliere, si chiede come Renzi riuscirà a realizzarle
«avendo la stessa maggioranza politica, gli stessi dirigenti e gli stessi
vincoli di bilancio che aveva il governo Letta». È una domanda legittima.
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