La crisi ha lasciato un Paese in ginocchio, indigente anche 1 lavoratore su 9
<25 2016="" em="" novembre=""> (Teleborsa) –In Italia è indigente quasi 1 bambino su 5, e 1 lavoratore su 9>. 25>
E’ questa l’impietosa fotografia dell’Italia post-crisi scattata nell’ultimo aggiornamento OCSE sulle disuguaglianze di reddito, in cui si sottolinea come in generale nell’area “dopo sette anni, le disuguaglianze nel reddito siano rimaste storicamente alte” per la mancata distribuzione dei “frutti della ripresa”. Dati alla mano, il coefficiente Gini (lo standard che misura le disuguaglianze) è passato allo 0,313 della fase precedente la crisi, il 2007, a 0,325 nel 2014, anche se il picco è stato toccato nel 0,331 nel 2012, all’apice della crisi. In tema di povertà relativa, in Italia il tasso è passato dall’11,9% del 2007 al 13,1% del 2012, salendo poi ancora al 13,3% del 2014. A pagarne il prezzo più alto sono stati i bambini: nel 2014 è povero quasi un minore su 5, poco meno del 18%. Nelle altre fasce d’età, é povero il 16% dei giovani tra i 18-25 anni, il 13% degli adulti, il 9,3% degli anziani e l’11,5% dei lavoratori.
Quanto agli altri Paesi europei, la situazione non è omogenea. In Francia l’indice sulle disuguaglianze è tornato ai livelli pre-crisi da 0,295 a 0,297, dopo il picco di 0,308 del 2012. In Germania le disuguaglianze hanno segnato un graduale rialzo 0,285 nel 2007, 0,289 nel 2012 e 0,292 nel 2014. Peggio dell’Italia sta però la Spagna passata da 0,324 a 0,335 fino a 0,346 negli anni 2007, 2012 e 2014. Non brilla la media OCSE media: 0,317 pre-crisi, 0,316 nel 2012, 0,318 nel 2014. Segno che nell’area OCSE “i frutti della ripresa non sono stati condivisi“, si legge nel rapporto. Leggi anche:
Dichiarazione di Valerio Federico, Tesoriere di Radicali Italiani
"Gli stati nazione hanno fallito nel governo dei grandi fenomeni in corso quali l’immigrazione, le crisi economico-finanziarie, i cambiamenti climatici e il terrorismo internazionale. Il regionalismo italiano ha prodotto spesa e debito pubblico. Rilanciamo dunque un modello di federalismo europeo con poli...tica estera, di difesa e fiscale comune e un'unica intelligence. Proponiamo nello stesso tempo un modello di federalismo municipale che garantisca al cittadino, con una reale autonomia tributaria dei comuni, la possibilità di affermare la sua sovranità al livello istituzionale a lui più vicino e di avere un maggiore controllo della qualità dell’azione amministrativa anche con nuovi strumenti di iniziativa popolare e di conoscenza e valutazione dell’attività delle amministrazioni pubbliche così come attraverso una riforma dell’erogazione dei servizi pubblici in senso concorrenziale", così il Tesoriere di Radicali Italiani Valerio Federico illustrando il dossier "Federalismo e sovranità dei cittadini", realizzato insieme a Zeno Gobetti, con la collaborazione di Demetrio Bacaro, vicepresidente del Comitato nazionale di Radicali Italiani, e Alessandro Massari, della Direzione nazionale.
Il dossier è disponibile sul sito di Radicali Italiani a questa pagina: http://www.radicali.it/…/federalismo-sovranit-dei-cittadini…
Quello del federalismo sarà uno dei temi al centro del XV Congresso di Radicali Italiani, in programma dal 29 ottobre al 1 novembre a Roma (Hotel Roma Aurelia Antica, via degli Aldobrandeschi, 223).
- Nell’epoca delle dispute fra Unione Europea e quei
governi – Irlanda su tutti – divenuti sorta di paradisi fiscali per le grandi
multinazionali Usa grazie ad un’imposizione fiscale bassissima, torna
d’attualità il tema di una piena armonizzazione a livello europeo sull’imposizione fiscale
per le aziende, una base imponibile comune per tutte le aziende
presenti in più mercati europei.
Bruxelles non vuole che si ripetano casi di evasione fiscale di multinazionali come Apple,
condannata dall’Ue a pagare 13 miliardi in tasse mancate a Dublino che, da
parte sua, paradossalmente non vule essere pagata proprio per mantenere un
regime fiscale favorevole che attragga altre aziende come Apple. Oggi
un’impresa che opera in più paesi europei paga le imposte in ognuno di essi con
lo svantaggio di avere aliquote e sistemi, anche di deduzione, diversi da una
nazione all’altra. Un fardello di costi e perdite di tempo ed energie non
indifferente. Allo stesso tempo i governi sfruttano i diversi sistemi tributari
per farsi concorrenza (o dumping) fiscale e attrarre le grandi imprese facendo
a gara a chi abbassa di più le aliquote, come hanno dimostrato i recenti
scandali come successo in favore di Apple, Starbucks e Amazon.
Mercoledì 26 ottobre, l’esecutivo comunitario sfornerà
due proposte di direttiva per l’armonizzazione fiscale. Il sistema che sarà
costruito in due step temporali distinti, sarà obbligatoria per le grandi
multinazionali e facoltativo per tutte le altre imprese, che comunque saranno
incentivate ad usarlo grazie ai risparmi legati all’imposta unica per chi internazionalizza.
Con l’obiettivo finale di arrivare al consolidamento, ovvero alla creazione
entro sei anni di un bilancio unico europeo per chi ha attività in due o più
paesi dell’Unione. Sarà prevista anche una nuova regolamentazione per la
soluzione delle controversie.
La Commissione Europea, che ha appena approvato un
pacchetto che prevede deduzioni particolarmente alte per chi investe in Ricerca
e Sviluppo, stima che il progetto finirà per rafforzare la crescita del Pil
europeo dell’1,2%.
Le piccole e medie imprese potranno avvalersi della
base imponibile unica solo se lo riterranno vantaggioso. Il commissario agli
Affari Economici dell’Ue, Pierre Moscovici, ha parlato dei benefici che
si potrebbero ottenere con un regime fiscale uniforme in tutta Europa. “Stiamo
proponendo uno schema che simultaneamente possa sostenere l’attività, attirare
gli investitori, promuovere la crescita, e bloccare la grande elusione fiscale”
delle aziende straniere.
Secondo le stime di Bruxelles, gli oneri fiscali per
le multinazionali con le nuove regole scenderebbero del 2%, ma a risparmiare
sarebbero soprattutto le piccole e medie imprese che lavorano in più paesi del
mercato interno con un taglio delle spese fino al 30% sulle tasse pagate
attualmente. Ad esempio, se il 5% delle Pmi decidesse di espandersi all’estero
grazie alle nuove regole secondo la Commissione ci sarebbe un risparmio
complessivo di un miliardo di euro.
Tutti contro tutti. Tutti a ritenersi incompresi, inascoltati e sconfitti. Tutti a puntare il dito contro padri, figli, nipoti. Che i Sessantottini si siano ‘accasati’ meglio, è fuor di dubbio. Però, il conflitto in atto ci consegna una lettura della realtà deprimente, perché la prima generazione persa - la mia - adesso è costretta a contemplare anche lo scontento dei propri figli assommando dispiacere a dispiacere
No, non è un pezzo sullo scontro tra Oriente ed Occidente, o meglio tra religioni e civiltà opposte (o presupposte tali) e neanche ho scritto un commento sul cambio di fronte bellico: dai carrarmati-con-missili della Cortina di Ferro alla diffusione molecolare di kamikaze del nuovo califfato.
Lo ben sapete tutti che, a scarsità di risorse, le organizzazioni vacillano e cadono in pezzi mentre s’innescano lotte per la sopravvivenza dei singoli alla deriva.
Vale per ogni consesso umano: dal partito politico al sindacato; dal luogo di lavoro al condominio; dalla bocciofila alla filodrammatica. Vale soprattutto, nelle società degli uomini, per le generazioni. La grandezza degli insiemi è ininfluente.
Darsi addosso tra generazioni è uno sport immarcescibile. Ogni nuova generazione ha il suo bersaglio preferito nelle coorti di chi lo ha preceduto.
Quando i tempi sono difficili — come gli attuali — i nemici allignano in più generazioni, sia ascendenti che discendenti. Tutte le generazioni comprese tra gli Alpha-boomer (i settanta-sessantenni di oggi) e la GenZ (i post Millennials) si sentono schiacciate e si lamentano con sempre più frequenza di aver perso le occasioni per colpa di quelli di prima, di quelli che hanno cominciato tutto, ovvero i Sessantottini.
Ciò è stato spiegato con semplicità in un molto condiviso editoriale de «Linkiesta», a firma del mio amico Bruno Giurato.
Io lo capisco perfettamente, Bruno, perché abbiamo vissuto le stesse sfighe, di ex giovani di ottime speranze, cui hanno inculcato il senso del dovere, della possibilità di migliorarsi attraverso lo studio ‘matto e disperato’ al fine di un lavoro qualificato in linea con i titoli e che invece sono rimasti schiacciati da questi falsi giovani ex rivoluzionari che hanno occupato tutti i posti al sole, hanno diffuso un modo di essere ed agire, da idrovore, cioè.
Siamo purtroppo — noi ragazzi del ‘riflusso’, come cantava Eugenio Finardi in “Cuba” — la prima delle generazioni cosiddette ‘perse’. Chi ci renderà merito, a noi che non apparteniamo alla Generazione Erasmus, che non siamo coetanei di Renzi&Boschi, che siamo troppo giovani per andare in pensione, troppo anziani per farci assumere se rimaniamo disoccupati o esodati? Che prima dei precari abbiamo studiato tanto per rimanere impiegatucci, o strappare anni di fuori ruolo e supplenze nelle scuole, magari sfiancarsi a prepararsi per dieci e dieci concorsi, arrivare sfiniti a chiedere una raccomandazione per vedersi riconosciuto il diritto alla sopravvivenza (dopo aver perso anche i genitori), o accettare di fare i ghost writer per qualche VIP/politico somaro, il contabile in qualche piccola azienda, il ragazzo di studio legale, il factotum per un notaio.
Indubbiamente, dopo di noi non è che si stia meglio. Anche i Millennials scalpitano perché trovano nella GenZ un manipolo di strafottenti piuttosto vuoti o quantomeno stitici di idee, volontà e creatività. E prima dei Millennials, i trentenni soffrono e soffriranno ancora e più di noi, se — come ha affermato il Direttore dell’INPS, Boeri —dovranno lavorare fino a 75 anni per una pensione da fame. A meno che non ci si butti in politica: nuovo ambito d’investimento sociale, come dimostrano tutte le nuove (e sciape) entrate nel nostro Parlamento.
Ma la guerra è guerra. Infatti, venerdì e sabato a Napoli si è tenuto un seminario sul riscatto dei ‘grandi vecchi’, ovverosia di studiosi e professori, i quali a venerande età (ovverosia intorno agli ottant’anni, cioè) ancora danno e possono dare alla cultura, alla scienza, alla società in genere. Non lo mettiamo in dubbio.
Tuttavia, come potete notare, il conflitto è diventato globale e trans-generazionale. Tutti contro tutti. Tutti a ritenersi incompresi, inascoltati e sconfitti. Tutti a puntare il dito contro padri, figli, nipoti.
Che i Sessantottini si siano ‘accasati’ meglio, è fuor di dubbio. Però, il conflitto in atto ci consegna una lettura della realtà deprimente, perché la prima generazione persa — la mia — adesso è costretta a contemplare anche lo scontento dei propri figli — Millennials e GenZ — assommando impotenza ad impotenza, dispiacere a dispiacere
LINK http://www.orticalab.it/Siamo-in-guerra-tra-noi-ed-e-colpa
Tutti contro tutti. Tutti a ritenersi incompresi, inascoltati e sconfitti. Tutti a puntare il dito contro padri, figli, nipoti. Che i Sessantottini si siano ‘accasati’ meglio, è fuor di dubbio. Però, il conflitto in atto ci consegna una lettura della realtà deprimente, perché la prima generazione persa - la mia - adesso è costretta a contemplare anche lo scontento dei propri figli assommando dispiacere a dispiacere
No, non è un pezzo sullo scontro tra Oriente ed Occidente, o meglio tra religioni e civiltà opposte (o presupposte tali) e neanche ho scritto un commento sul cambio di fronte bellico: dai carrarmati-con-missili della Cortina di Ferro alla diffusione molecolare di kamikaze del nuovo califfato.
Lo ben sapete tutti che, a scarsità di risorse, le organizzazioni vacillano e cadono in pezzi mentre s’innescano lotte per la sopravvivenza dei singoli alla deriva.
Vale per ogni consesso umano: dal partito politico al sindacato; dal luogo di lavoro al condominio; dalla bocciofila alla filodrammatica. Vale soprattutto, nelle società degli uomini, per le generazioni. La grandezza degli insiemi è ininfluente.
Darsi addosso tra generazioni è uno sport immarcescibile. Ogni nuova generazione ha il suo bersaglio preferito nelle coorti di chi lo ha preceduto.
Quando i tempi sono difficili — come gli attuali — i nemici allignano in più generazioni, sia ascendenti che discendenti. Tutte le generazioni comprese tra gli Alpha-boomer (i settanta-sessantenni di oggi) e la GenZ (i post Millennials) si sentono schiacciate e si lamentano con sempre più frequenza di aver perso le occasioni per colpa di quelli di prima, di quelli che hanno cominciato tutto, ovvero i Sessantottini.
Ciò è stato spiegato con semplicità in un molto condiviso editoriale de «Linkiesta», a firma del mio amico Bruno Giurato.
Io lo capisco perfettamente, Bruno, perché abbiamo vissuto le stesse sfighe, di ex giovani di ottime speranze, cui hanno inculcato il senso del dovere, della possibilità di migliorarsi attraverso lo studio ‘matto e disperato’ al fine di un lavoro qualificato in linea con i titoli e che invece sono rimasti schiacciati da questi falsi giovani ex rivoluzionari che hanno occupato tutti i posti al sole, hanno diffuso un modo di essere ed agire, da idrovore, cioè.
Siamo purtroppo — noi ragazzi del ‘riflusso’, come cantava Eugenio Finardi in “Cuba” — la prima delle generazioni cosiddette ‘perse’. Chi ci renderà merito, a noi che non apparteniamo alla Generazione Erasmus, che non siamo coetanei di Renzi&Boschi, che siamo troppo giovani per andare in pensione, troppo anziani per farci assumere se rimaniamo disoccupati o esodati? Che prima dei precari abbiamo studiato tanto per rimanere impiegatucci, o strappare anni di fuori ruolo e supplenze nelle scuole, magari sfiancarsi a prepararsi per dieci e dieci concorsi, arrivare sfiniti a chiedere una raccomandazione per vedersi riconosciuto il diritto alla sopravvivenza (dopo aver perso anche i genitori), o accettare di fare i ghost writer per qualche VIP/politico somaro, il contabile in qualche piccola azienda, il ragazzo di studio legale, il factotum per un notaio.
Indubbiamente, dopo di noi non è che si stia meglio. Anche i Millennials scalpitano perché trovano nella GenZ un manipolo di strafottenti piuttosto vuoti o quantomeno stitici di idee, volontà e creatività. E prima dei Millennials, i trentenni soffrono e soffriranno ancora e più di noi, se — come ha affermato il Direttore dell’INPS, Boeri —dovranno lavorare fino a 75 anni per una pensione da fame. A meno che non ci si butti in politica: nuovo ambito d’investimento sociale, come dimostrano tutte le nuove (e sciape) entrate nel nostro Parlamento.
Ma la guerra è guerra. Infatti, venerdì e sabato a Napoli si è tenuto un seminario sul riscatto dei ‘grandi vecchi’, ovverosia di studiosi e professori, i quali a venerande età (ovverosia intorno agli ottant’anni, cioè) ancora danno e possono dare alla cultura, alla scienza, alla società in genere. Non lo mettiamo in dubbio.
Tuttavia, come potete notare, il conflitto è diventato globale e trans-generazionale. Tutti contro tutti. Tutti a ritenersi incompresi, inascoltati e sconfitti. Tutti a puntare il dito contro padri, figli, nipoti.
Che i Sessantottini si siano ‘accasati’ meglio, è fuor di dubbio. Però, il conflitto in atto ci consegna una lettura della realtà deprimente, perché la prima generazione persa — la mia — adesso è costretta a contemplare anche lo scontento dei propri figli — Millennials e GenZ — assommando impotenza ad impotenza, dispiacere a dispiacere
LINK http://www.orticalab.it/Siamo-in-guerra-tra-noi-ed-e-colpa
< Centri Socio-Ricreativi >TU
COSA NE PENSI?Dillo
a SENIOR IN PIAZZAinfo 3883642614
oppure scrivere a dinodono1@gmail.com
I Centri
Socio-Ricreativi di
promozione sociale del Comune di Milano sono aperti a tutti i cittadini che
hanno compiuto i 55 anni di età.
Si accede
tramite iscrizione presso la Segreteria del Centro prescelto con sottoscrizione
di tessera annuale e versamento della quota associativa di €10.
Le
iscrizioni sono accolte preferibilmente dal 1 gennaio al 31 marzo, ma sono
consentite durante tutto l’anno. Con il versamento della quota associativa il
cittadino diviene socio del Centro prescelto con diritto di voto nelle
assemblee convocate dal Comitato di Gestione. La tessera della Rete dei Centri
Socio Ricreativi Culturali consente tuttavia di accedere a tutti i 29 Centri
della Rete del Comune di Milano dislocati nelle 9 Zone della città. E’ infatti
possibile partecipare a tutte le loro attività, nel rispetto delle norme
vigenti e facendone esplicita richiesta al Comitato di Gestione del Centro che
deciderà in merito, tenendo conto delle caratteristiche proprie di ogni singolo
Centro e nel rispetto delle norme sulla sicurezza.
I Centri
sono aperti tutto l'anno e stabiliscono i loro orari in modo
indipendente, anche se le iniziative che sono progettate, condotte e coordinate
da operatori culturali del Comune, si svolgono prevalentemente nel pomeriggio.
Il ventaglio dell'offerta è molto ampio:
momenti ricreativi: ballo,
giochi, intrattenimenti musicali, ecc.
eventi culturali e
informazione: gite, conferenze, visite guidate, spettacoli teatrali e
cinematografici a condizioni molto vantaggiose
attività sportive: corsi di
ginnastica dolce, yoga, campi di bocce, ecc.
Inoltre si
tengono eventi particolari a tema in diversi periodi dell'anno e in occasione
di varie ricorrenze.
La sede
centrale si trova in via Statuto 17 - tel. 02 88463121: fornisce
informazioni sulle iniziative e le attività dei Centri, dalle 9.00 alle 12.00 e
dalle 14.00 alle 16.00.
Attraverso alcuni anni di perpetrata omissione di un serio esercizio centrale del ruolo di coordinamento della finanza pubblica in Italia si è giunti al duplice risultato di una larvata destituzione della democrazia locale e di un progressivo smantellamento dello stato sociale. Si tratta di un fenomeno che sembra rimasto, data forse anche la complessità tecnica che ne caratterizza i vari fattori, nell’ombra rispetto all’attenzione che viene solitamente data ad altri temi: è opportuno quindi cercare di metterlo in luce. L’evoluzione che si è verificata nel sistema di finanza locale negli ultimi anni ha, infatti, delineato un assetto che, per stratificazioni successive e per complicazioni interattive, ha profondamente alterato i principi del federalismo fiscale municipale. L’esito della crisi finanziaria, infatti, non è stato, in Italia, semplicemente un processo di ricentralizzazione di funzioni o di risorse, che poteva anche trovare una qualche giustificazione in ragione dell’emergenza, ma una profonda e ingiustificata alterazione dei principi fondamentali che da sempre ed ovunque riguardano l’autonomia fiscale degli enti territoriali. In Italia negli ultimi anni e quindi nell’assetto attuale, si è quindi determinato un quadro di finanza locale insostenibile, fonte di inaudite complicazioni e di gravissime alterazioni dei presupposti che permettono l’ordinato sviluppo del sistema fiscale e delle stesse autonomie locali. La Copaff (Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale) ha, a gennaio 2014, approvato un rapporto sulla distribuzione delle misure di finanza pubblica, che certifica per la prima volta e in modo condiviso tra tutti i livelli di governo, la distribuzione dei tagli delle ultime manovre di finanza pubblica. Dal Rapporto emerge con evidenza che i tagli si sono scaricati prevalentemente sugli enti territoriali. Si tratta di un dato estremamente importante che trova conferma in quanto ormai in più occasioni affermato dalla Corte dei Conti e recentemente nella delibera del 29 dicembre 2014, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali, dove viene chiaramente precisato che al comparto degli enti territoriali è stato richiesto, nelle manovre degli ultimi anni, “uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entità delle loro risorse”, in base a scelte andate “a vantaggio degli altri comparti che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche.” Ed ha quindi auspicato (ma non è avvenuto) che “futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonché delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali”. In effetti, nello sviluppo normativo della legislazione statale degli ultimi anni è evidente un fenomeno di abnorme deresponsabilizzazione dello Stato, che, chiamato ad assumersi la responsabilità di una riduzione dei Lea a seguito del venir meno delle risorse disponibili, ha scelto invece la strada di lasciare, da un lato, invariati i Livelli essenziali delle prestazioni dei diritti sociali (Lea e Lep), o peggio ancora di nemmeno definirli in molte materie come l’assistenza sociale, e dall’altro di perpetrare un sistema di tagli lineari, in ciò venendo meno ad un corretto esercizio di quella funzione di coordinamento della finanza pubblica che è invece richiesto dall’art.117, III, comma. Se quindi a metà del 2010 un rapporto al Parlamento italiano della stessa Copaff si poteva intitolare L’albero storto, con riferimento alle disfunzioni e alla deresponsabilizzazione di molti enti territoriali, oggi è possibile rovesciare la considerazione e parlare dell’albero storto per definire la situazione della finanza statale, che è rimasta in gran parte esente dal processo di spending review: i lavori sulla revisione della spesa centrale statale sono stati insabbiati e nemmeno pubblicati, né sono stati elaborati meccanismi di definizione della spesa giustificata analoghi ai costi e fabbisogni standard introdotti invece per gli enti territoriali. Da questo punto di vista, la deresponsabilizzazione maggiore è oggi ravvisabile nel modo con cui il governo centrale gestisce la finanza pubblica: oltre a quanto già detto sulla mancata definizione o aggiornamento di Lea e Lep, basti pensare a casi emblematici di riduzione delle imposte statali finanziati in gran parte con tagli draconiani agli enti territoriali. Il governo centrale si assume il merito e la popolarità di aver ridotto le imposte, mentre sugli enti territoriali scarica la responsabilità (in tutti quei casi in cui non vi sono sprechi commisurati all’entità del taglio subito) di ridurre i servizi sociali o di aumentare la pressione fiscale locale... (segue)
La discussione sul tema delle riforme costituzionali è ormai particolarmente ampia e la maggior parte dei profili sono stati affrontati e discussi sia dai fautori di un’approvazione in sede referendaria del testo di riforma, che dai detrattori. Mi limiterò quindi in questa sede a fare innanzitutto alcune precisazioni in ordine alle critiche che vengono mosse al ruolo svolto in questo periodo dal governo sulla formulazione del testo di riforma e sul coinvolgimento significativo del governo in tutta la fase d’approvazione ed ora nella fase preventiva al referendum costituzionale. La valutazione circa la correttezza del procedimento, alla luce delle considerazioni che farò, mi porteranno poi non tanto ad analizzare i singoli organi ed istituti che vengono innovati con la riforma, quanto ad esaminare alcuni profili sul futuro funzionamento di organi e nuovi istituti oggetto di particolari critiche e cercare di individuare come la fase successiva all’entrata in vigore della riforma costituzionale sia quella che consentirà di risolvere le possibili incongruenze che ogni intervento costituzionale così significativo come quello attuale inevitabilmente può creare. Anche con riguardo a tale contenuto il ruolo del governo non può essere marginale ed anzi già in questa fase iniziare a pensare a quali possano essere le soluzioni normative per superare tali incertezze può essere utile, non solo per eliminare eventuali dubbi circa le difficoltà di funzionamento della riforma, ma in particolare per avere maggiore chiarezza sugli interventi che saranno necessari nella fase immediatamente successiva all’eventuale esito positivo del referendum e quindi all’entrata in vigore del nuovo testo costituzionale. A ciò si può aggiungere la necessità che i singoli Ministeri inizino anche a studiare ed affrontare le nuove competenze che verranno loro attribuite in conseguenza dell’ampliamento delle materie di competenza esclusiva dello Stato previsto nel nuovo secondo comma dell’art. 117 Cost... (segue)
Concluse le operazioni di voto, si procede allo spoglio delle schede elettorali. L'affluenza alle urne è stata complessivamente del 62,14%
Si sono concluse, alle ore 23 di domenica 5 giugno, tutte le operazioni di voto nei seggi dei comuni chiamati a rinnovare i sindaci, i consigli comunali e i consigli circoscrizionali.
L'affluenza alle urne è stata complessivamente del 62,14%.
Lo spoglio delle schede è in corso. I risultati deg
C'ò un Paese dove è stata istituita la tassa sui tatuaggi
Le imposte più strane del mondo
Il peso delle tasse sul lavoro in Italia nel 2015 salito al 49%, resta fra i più alti del mondo malgrado il bonus di 80 euro al mese: la classifica OCSE.
Il bonus di 80 euro
non sembra aver avuto effetto sul cuneo fiscaleitaliano, che resta fra i più alti del mondo: secondo il Taxing wages 2016 OCSE, il peso delle tasse
sul lavoro in Italia è addirittura salito: al 49% sopra la media OCSE del 35,9%, al quinto posto, – dietro a Belgio,
Austria e Germania, a pari merito con l’Ungheria – nella speciale classifica
europea. Non solo: le tasse sul lavoro hanno segnato
un rialzo a +0,8% nel 2015, secondi solo al
Portogallo, dove però il cuneo fiscale è più basso, al 42,1%. Il trend è
in costante aumento dal
2000 (quando era al 47,1), mentre nei paesi OCSE è diminuito.
Considerando una famiglia monoreddito con due figli, il cuneo fiscale
italiano è sul terzo gradino del podio, al 39,9%, dietro a Francia e Belgio,
mentre la media OCSE è pari al 26,7%. Anche qui, si registra una crescita
rispetto al 2014, quando la Penisola era al quarto posto. Il cuneo è più basso
rispetto a quello sul singolo lavoratore per l’impatto delle varie detrazioni e
agevolazioni per famiglie con figli.
E le tasse che paga il lavoratore (al netto di quelle pagate dal datore
di lavoro)? L’Italia scende in classifica al settimo posto, con un’imposizione
del 32,6% contro una media del 25,5%. Davanti a
noi, Belgio, Germania, Danimarca, Austria, Ungheria e Slovenia. In pratica, lo stipendio netto di un lavoratore italiano è pari al 67,4% dell’imponibile (considerato già al
netto di quanto pagato dal datore di lavoro). Nel caso di una famiglia con due
figli, il peso delle tasse sul lavoratore scende al 20,6%, contro una media del
14,6% (il posizionamento in classifica resta il settimo). Quindi, il netto che
un lavoratore di porta a casa in Italia è pari al 79,4% dell’imponibile, contro
l’85,4% della media OCSE.
In definitiva,
il costo del lavoro in Italia è così composto:
Il Parlamento si appresta a deliberare in via definitiva sulla revisione costituzionale. È prevedibile che in autunno tutti saremo chiamati a esprimerci con un Sì o con un No. In vista del referendum sono già molto alti i toni del contrasto tra i fautori del No, che si vogliono opporre al tentativo di deformare la "Costituzione più bella del mondo" e i fautori del Sì, che dichiarano la necessità di una riforma che colmi le "troppe lacune di un testo ormai invecchiato".
I partiti, i movimenti, i gruppi di interesse stanno già mostrando di voler usare il referendum come campo di battaglia per uno scontro politico e ideologico le cui ragioni vanno spesso oltre i contenuti della riforma. Molti intellettuali si schiereranno con l'una o con l'altra posizione e discuteranno sul raccordo tra la riforma e promesse di futuro benessere collettivo - per chi sosterrà il Sì - ovvero tra la riforma e scenari distruttivi, reazionari e autoritari - per chi sosterrà il No. Quest’impostazione manichea, purtroppo non nuova, non favorisce il dibattito pubblico e non rende un buon servizio all’elettorato e al Paese.
Dopo due anni di ampio e serrato confronto parlamentare, che tuttavia non ha raggiunto il cuore del Paese, il ruolo dei costituzionalisti e degli studiosi delle istituzioni pubbliche è quello di esaminare il testo nel merito e nel dettaglio, verificandone la coerenza con l’ispirazione e i principi della Costituzione del 1947. Su questa base essi potranno discutere, anche alla luce del più generale "momento costituzionale" dell'Unione europea, degli strumenti di attuazione di cui ci sarà bisogno, se il testo della riforma verrà approvato, ovvero delle inevitabili ripercussioni nel complessivo contesto costituzionale, se la riforma verrà respinta. Solo un simile atteggiamento potrà permettere a quella particolare categoria di intellettuali che fanno della Costituzione e delle istituzioni il loro oggetto di studio di fornire un reale contributo alla discussione che si avvia nel Paese e che durerà nei prossimi mesi.
Gli studiosi che firmano questo testo, pur distanti per opinioni personali e politiche e consapevoli che alla fine si esprimeranno con un Sì o con un No, sono fermamente convinti che solo dal reciproco ascolto possano nascere soluzioni utili per la collettività. Anche come cittadini della nostra Repubblica che quest'anno celebra i suoi 70 anni, essi ritengono che il loro compito, in ragione delle loro specifiche conoscenze, consista nel fornire all'opinione pubblica, alle forze politiche, al Paese, un quadro delle soluzioni in campo e delle conseguenze che ne possono derivare, e agli elettori strumenti per orientare in modo informato, personale e responsabile le proprie decisioni nel referendum, al riparo dallo scontro politico contingente.
21 marzo 2016
L’appello si può sottoscrivere mandando una mail all'indirizzo riformereferendum@gmail.com indicando nome, cognome, qualifica ed ente di appartenenza
Piattaforme online dedicate al mondo del lavoro: ecco una selezione di siti web che offrono opportunità di impiego, supportando le imprese nel processo di assunzione e i privati nel trovare lavoro.
Sono state selezionate da Mind the Bridge le start-up che, attraverso i propri siti web, rendono più facile reperire offerte di lavoro e candidati per i posti di lavoro offerti in Italia. I 14 progetti in ambito Job e Recruitment – selezionati tra centinaia di candidati a seguito della open call lanciata a dicembre 2015 – partecipano alla due giorni di Openjobmetis, per individuare eventuali partner con cui avviare percorsi di collaborazione commerciale e/o strategica (licensing di tecnologie o integrazioni/partnership).
I progetti selezionati fanno capo a start-up che hanno realizzato piattaforme online che si occupano di validare le skill dei candidati, supportare le imprese nei processi di assunzione o valutare la compatibilità tra candidato e azienda e il suo inserimento in un team specifico. Vediamole nel dettagli.
Debut (http://debut.careers) è una piattaforma pensata da Michele Trusolino appositamente per l’inserimento attivo nel mondo del lavoro di studenti e neolaureati.
Eggup
Eggup (https://www.eggup.net), piattaforma avviata da Cristian De Mitri, permette di valutare la compatibilità del candidato con l’azienda a cui dovrebbe unirsi e che permette la creazione di team ad alto potenziale.
Employerland
Employerland (http://www.employerland.it) di Gabriele Lizzani rivoluziona le modalità di incontro tra aziende e candidati proponendo una piattaforma di gaming.
Filmjob
Filmjob (filmijob.com) di Alejandro Manuel López Garrido, soluzione per la gestione delle risorse umane, consente analizzare dati e competenze dei candidati da inserire in azienda e fornisce la possibilità al selezionatore di effettuare interviste video asincrone e testare attitudini per il perfetto inserimento nel team.
Geek and job
Geek and job (orange job – geekandjob.com) di Rodolfo Laneri è una piattaforma che mette in contatto le migliori aziende TECH con sviluppatori, web designer, data scientist e online marketer.
Glickon
Glickon (Glickon.com/corporate) di Filippo Negri consente, grazie ad un algoritmo specifico, di testare e validare le skill dei candidati diminuendo il time-to-hire e aumentando l’accuratezza della selezione.
Hiredgrad
Hiredgrad (hiredgrad.com) di Andrea Bonaceto è una piattaforma pensata per i neolaureati, permettendo loro di incontrare direttamente aziende interessate ai loro profili durante eventi organizzati ad hoc da organizzazioni studentesche o partner.
iLevels
La piattaforma iLevels (http://ilevels.it) di Guglielmo Del Giudice fornisce alle aziende tutti gli strumenti necessari ad avviare il processo di assunzione: dal job posting alla gestione dei colloqui.
In-recruiting
In-recruiting (In-recruiting.com) di Matteo Cocciardo consente di gestire tutte le attività di che riguardano il processo di assunzione, dalla ricerca dei candidati fino all’effettivo inserimento in azienda.
Jobyourlife
Jobyourlife (Jobyourlife.com) di Andrea De Spirt è pensato per creare un matching perfetto fra domanda e offerta di lavoro, permettendo alle aziende di individuare i candidati ideali in pochi secondi e inviare loro delle proposte
Just Knock
Just Knock (justknock.it) di Marianna Poletti mette in contatto diretto i candidati con importanti aziende partner della piattaforma per autocandidarsi, proporre idee e mostrare il proprio talento.
Le Cicogne
Le Cicogne (Lecicogne.net) è un’applicazione che mette in contatto le famiglie con aspiranti babysitter in modo facile e sicuro.
Meritocracy
Meritocracy (https://meritocracy.is) di Riccardo Galli è una piattaforma di employer branding che unisce domanda e offerta di lavoro e consente alle aziende di selezionare i migliori candidati.
Refermeplease
Refermeplease(Refer-me-please.com) di,Ireland Kevin Bosc, è un social network che si propone di migliorare il processo di selezione dei candidati, facendo affidamento sulle valutazioni interne degli stessi dipendenti e utilizzando i programmi di referall. Per approfondimenti, clicca qui
Pressione fiscale in Italia al 43,6%, al quarto posto nella UE: con un sistema di tassazione europeo il contribuente italiano risparmierebbe 557 euro l'anno: dati e analisi.
Un Superministro europeo e un sistema fiscale comunitario avrebbero un impatto positivo sul contribuente italiano, che alla fine pagherebbe meno tasse: secondo la CGIA di Mestre,il risparmio pro-capite sarebbe di 557 euro l’anno, 34 miliardi di euro in termini complessivi. Come si arriva a questi numeri? Effettuando un calcolo puramente teorico e ipotizzando un’armonizzazione dei sistemi fiscali dei 19 paesi dell’Euro. La pressione fiscale media dell’Eurozona è infatti pari al 41,5% del PIL, che significa 557 euro di tasse in meno rispetto al carico fiscale italiano: è quindi questa la cifra di risparmio medio per contribuente se ci fosse un sistema di tassazione europeo.
In pratica, è stata misurata la pressione fiscale di tutti i paesi dell’Eurozona e sono stati quantificati i maggiori o minori versamenti rispetto all’Italia: in base a questo metodo, è stato calcolato quanto si pagherebbe di tasse se agli Italiani fosse applicato il carico fiscale medio europeo.
Il carico fiscale italiano è pari al 43,6%, al quarto posto nella classifica dei paesi della moneta unica, mentre sul podio ci sono Francia (48,1% del PIL) Belgio (47,3%) e Finlandia (43,9%). In termini assoluti, il contribuente francese paga 1.195 all’anno di tasse più di un Italiano, il belga 982 euro, il finlandese 80 euro. Livello fiscale pari a quello italiano in Austria, mentre in tutti gli altri paesi si pagano meno tasse. Il paese più conveniente è la Lituania (27,7% del PIL e 4.221 euro in meno per contribuente all’anno rispetto all’Italia).
Altri dati: in Italia si pagano 1.141 euro di tasse in più all’anno per contribuente rispetto alla Germania, 1248 euro in più rispetto alla Grecia, 2.389 in più rispetto alla Spagna.
Dalla lettura di questi dati, commenta Renato Mason, segretario CGIA Mestre,
«emerge una forte correlazione tra il livello di centralismo e la pressione tributaria. Vale a dire che la quantità di imposte, tasse e tributi che i contribuenti versano in percentuale del PIL è direttamente proporzionale al grado di centralismo fiscale».
Qui il discorso si complica, perché bisognerebbe analizzare il meccanismo fiscale di ogni singolo paese paragonando tasse dovute allo stato centrale e fiscalità regionale. Comunque sia, si può sottolineare che in Italia il federalismo fiscale ha comportato un aumento delle tasse, dovuto soprattutto alla crescita delle imposte locali.
Secondo il coordinatore dell’Ufficio Studi della CGIA, Paolo Zabeo, per pagare meno tasse il Governo dovrebbe agire
«sul fronte della razionalizzazione della spesa pubblica, tagliando sprechi, sperperi e inefficienze della macchina pubblica. Quanto è stato fatto in questi anni va nella direzione giusta, ma è ancora insufficiente. Inoltre, questa operazione dovrà essere realizzata in fretta, visto che entro la fine di quest’anno bisognerà sterilizzare l’ennesima clausola di salvaguardia di 15 miliardi, altrimenti dal 1° gennaio 2017 scatterà con un sensibile aumento delle aliquote IVA».
Il candidato al Campidoglio: "Destra e sinistra? I partiti hanno tutti fallito"
di GIOVANNI GAGLIARDI
Marchini, candidato sindaco al Comune di Roma, è ospite di Stefano Cappelllini a Repubblica Tv. La prima domanda è sulla identità politica di erede di una famiglia di costruttori battezzata "Calce e martello" per i legami del capostipite con il vecchio Pci, al quale regalarano Botteghe oscure: "Io mi muovo nel solco ideologico delle 4 libertà della Am-Lire - è la risposta di Marchini -. Libertà di religione di parola dal bisogno e dalla paura. Ho votato repubblicano la prima volta e poi per persone alle quali mi riferivo. Noi abbiamo avuto a destra il fascismo, ma la posizione di Storace nel sociale oggi è più a sinistra di Renzi. Io credo ci sia la necessità di ridefinire un problema di identità. Dobbiamo costruire una nuova fase. Nessuno di noi deve rinnegare la propria identità politica, io propongo di arricchirla di una nuova esperienza mettendo insieme civismo e politica. Abbiamo contribuito a mandare via Marino perché era il nosto mestiere di opposizione. La società civile non è un mito e ha il dovere di ossigenare la politica".
Corsa al Campidoglio, videoforum con Alfio Marchini - l'integrale
Condividi
Rom. Marchini ha parlato della questione dei rom: "Io ho una posizione chiara e netta: non sono razzista, però se ci sono persone che vengono in Italia con il presupposto di delinquere e che mandano i propri figli a delinquere ciò non è sopportabile". I rom, sottolinea Marchini, "sono persone che per la grandissima parte, per loro identità, hanno difficolta ad integrarsi. Penso che si debba togliere l'acqua ai piranas, a quelli che vengono qui per delinquere - conclude -. Una volta fatto questo rimarranno solo quelli che vengono qui per lavorare e comportarsi bene".
Sicurezza. "Abbiamo una rete trasversale di parlamentari che ci appoggia e giovedì in Senato presenteremo un ddl sulla sicurezza: un quadro di insieme che affronti i temi dell'accattonaggio, della contraffazione, della prostituzione, del rovistaggio" e il ddl avrà al centro la "sicurezza partecipata", dice il candidato a sindaco. "I cittadini devono essere coinvolti nel Comitato per l'ordine e la sicurezza", continua. "La presentazione avverrà con due persone che ci stanno aiutando - aggiunge - il generale Ugo Marchetti, ex vice comandante della guardia di finanza ed ex vicesindaco di Palermo, e l'attore Riccardo De Filippis, uno degli attori di punta di Romanzo Criminale (nella fiction interpretava il ruolo di "scrocchiazeppi" ndr)".
Marchini: "Destra o sinistra? I partiti hanno tutti fallito"
Condividi
Corruzione. "A Roma hanno trasformato i nostri diritti in privilegi. C'è una quantità di gente importante che lucrano e vivono su questo sistema di corruzione. In questo Paese non mancano le leggi anticorruzione, manca la volontà di applicarle", dice Alfio Marchini. "Noi abbiamo le idee chiare e c'è una differenza con chi verrà qui a fare campagna elettorale - ha spiegato Marchini - noi abbiamo onorato le speranze dei nostri elettori, gli altri hanno tradito la vostra fiducia"..
Poteri forti. Marchini parla anche dei dubbi sui suoi supporter: "La sinistra in questi 25 anni si è fatta dare uno spartito dalla tv: si ragiona solo per immagini. Il nuovo stadio della Roma è stato presentato da un costruttore (Luca Parnasindr) che stimo e io sono della Roma, ma ho votato contro. Noi abbiamo fatto scoppiare lo scandalo di Affittopoli. C'è un problema identitario: io dico non rinunciate alla vostra identità, ma votate per una lista civica".
Roma, Marchini: "Io amico dei costruttori? Ho detto no allo stadio. Totti? Lo capisco..."
Condividi
Totti. Il candidato sindaco non si è sottratto ad una domanda sulla polemica che ha coinvolto il capitano della Roma Francesco Totti e l'allenatore Luciano Spalletti: "Io come è noto ho fatto sport per tanti anni, so che serve una disciplina mentale assoluta. Posso quindi immaginare lo stato d'animo di Totti che a quasi 40anni deve ancora rinunciare a mangiare, deve allenarsi. In più lui, che quando diede il famoso calcio a Balotelli disse di averlo fatto perché 'm'ha fatto rosica', è fatto in questa maniera. Quindi è comprensibile che una persona che ha dato alla città cuor, gambe, caviglie, ginocchia, possa dire una parola di troppo. Così come capisco Spalletti che vuole far rispettare delle norme, ma bisogna tutelare le bandiere che abbiamo, che sono un valore. Poi credo sia il momento in cui chi è più forte - Spalletti - deve essere più generoso e rispettare un campione".
Rifiuti. "Spendiamo 130-160 euro a tonnellata per portare fuori i rifiuti. Oggi Roma non è in grado di smaltire la differenziata. Abbiamo speso moltissimi soldi per i cassonetti quando in giro per il mondo ci sono i cassonetti interrati. Se si guarda il piano industriale di Ama non c'è una lira per investimenti. Occorre investire per la differenziata. Il sistema così non va".
Ballottaggio. L'ultima domanda di Cappellini è sul ballottaggio: "Chi voterebbe Marchini nel caso la sua lista non arrivasse al secondo turno?": "Oggi abbiamo tutte le condizioni per arrivare davanti - dice l'imprenditore -. Non mi preoccupo chi appoggiare al secondo turno. La mia preoccupazione è per quei romani
che si recheranno alle urne e il 5 marzo all'Auditorium di Santa Cecilia presenteremo il nostro piano in modo che il cittadino possa aver chiaro cosa va a votare. Io voglio che i romani si concentrino ad entrare nel merito. Non si facciano convincere da divisione fra destra e sinistra, voglio che entrino nel merito. Morassut ha ragione: si deve entrare nelle questioni di merito a prescindere da destra e sinistra. Oggi la dice lunga che Giachetti e il Pd non abbiano un programma".