venerdì 16 aprile 2010
Dopo il voto, l'analisi del politologo
Territorializzazione del voto, avanzamento della Lega, rafforzamento dei partiti capaci di agganciare il dialogo con la gente, vicini alle esigenze (a volte alle idiosincrasie) dei cittadini.
E in questo panorama l’emergere di due laboratori politici di grande interesse: l’area del Veneto dove la Lega è partita per tingere da bianco a verde prima il Norditalia e ora anche buona parte del Centro, e quello della Toscana, dove il centrosinistra difende con i denti le proprie roccaforti con strategie che un po’ somigliano a quelle della Lega: dai circoli alle feste, alla capacità di condivisione degli spazi, instaurando un rapporto stretto con il proprio elettorato.
Tutti temi che prima di queste elezioni amministrative erano stati affrontati in dettaglio e anticipati con quasi chiaroveggenza in un libro di Marco Almagisti, politologo e docente di Scienza Politica presso l’università di Padova, nel libro La qualità della democrazia in Italia, Capitale sociale e politica (Carocci, 2009, vedi scheda libro).
D: Prof. Almagisti, partiamo dal fenomeno leghista. In Veneto ha vinto con percentuali bulgare. Pochissime amministrazioni rosse tra i comuni e le province. Rimane il baluardo di Venezia con la sconfitta di Brunetta, mentre con il cambio di rotta di Castelfranco, nel trevigiano, resiste solo un sindaco di centrosinistra, Laura Puppato, a Montebelluna, già presa a modello per una agognata 'rinascita' del Pd. Dove risiede il successo della Lega?
R: Io credo che il successo della Lega mostri ancora una volta come l'organizzazione sia una variabile straordinariamente potente della politica; nulla di nuovo, l'avevano già spiegato molto bene Max Weber e Robert Michels quasi un secolo orsono. E non si tratta solo di organizzazione, ma di prossimità: la Lega non vince solo perché un partito strutturato sul territorio, ma anche perché riesce a farsi percepire come solidale con i ceti più deboli, come i cittadini spaventati dalla disoccupazione, dall'immigrazione, dalla crisi economica.
D: Lei ha parlato di "partito territoriale" quando ancora non se ne faceva alcun cenno. Ci spiega meglio cosa intende?
R: Un partito territoriale vive in simbiosi con i soggetti attivi sul territorio, innesca partecipazione. Partito territoriale significa anche penetrazione e capacità di calamitare interessi. Si stabilisce un rapporto molto forte tra strutture del partito, enti locali e corpi intermedi.
D: La Lega tutto questo ha dimostrato di saperlo fare… E la sinistra, come mai non ha colto le ricadute positive di queste strategie?
Se il Partito democratico, come in Toscana, riesce a rinnovarsi e a inviare messaggi di coinvolgimento del proprio elettorato va bene e cresce. Lo si è visto con iniziative, magari parziali e criticabili, come la legge sulla partecipazione o le primarie. In Emilia-Romagna, e soprattutto a Bologna, invece c’è stato maggiore immobilismo e un’incapacità di rimanere in sintonia e una parte degli elettori è rimasta a casa o ha votato Grillo.
Veneto e Toscana restano due osservatori privilegiati sul sistema politico italiano e sulle scelte che in futuro faranno i partiti.
D: Quindi non stiamo assistendo a un dissolvimento del ruolo del partito, nonostante la crescente sfiducia dei cittadini confermata dall'astensione al voto?
R: Il ruolo dei partiti, a mio parere, costituisce ancora un elemento decisivo nell’analisi del sistema politico italiano essendo il vettore sostanziale del suo consolidamento democratico. Nella seconda metà del Novecento sono stati i partiti di massa a garantire in Italia la ricomposizione di molte fratture, soprattutto tra centro e periferia. La classe politica uscita dalla Resistenza ha saputo costruire relazioni fra le società locali e lo Stato nazionale, facendo di alcuni contesti, come il Veneto "bianco" e l’Italia centrale "rossa", i principali serbatoi di consenso per i maggiori partiti dell’Italia repubblicana: la DC e il PCI. Poi c’è stata Tangentopoli, la crisi degli anni Novanta, ma alcuni soggetti hanno saputo rinnovarsi.
D: Intende che la Lega in qualche modo riprende modalità e strumenti dei partiti della Prima Repubblica?
R: Militanti e simpatizzanti della Lega sono presenti sul territorio, cercano di alimentare l’esistenza di corpi intermedi connessi con il partito, organizzano incontri e feste anche nei comuni più piccoli, mantengono un rapporto prossemico con i cittadini dei ceti meno agiati e, pertanto, più esposti ai rischi dell’anomia e dell’insicurezza.
La Lega rielabora l’eredità dei partiti fondatori della Repubblica, ovviamente da una prospettiva radicalmente diversa: dal momento che le parole d’ordine della Lega fanno sempre riferimento immediato alle peculiarità (e alle paure) delle società locali.
D: E a livello nazionale quale sarà la vera sfida della politica? Quali i nodi da affrontare?
R: Oggi in Italia la capacità la sfida politica è quella di tirar fuori dalla latenza domande che non sono ancora strutturate. A volte sembra che le uniche questioni importanti siano quelle già trattate dal sistema politico formale. Le televisioni dettano l’agenda dei temi e, in questo caso, si è evitato spesso di parlare di argomento scomodi per il governo. Gli argini di questa presenza pervasiva sono rappresentati dal territorio. La vita reale, in qualche modo, è più vasta e accidentata della televisione e la Lega e la sinistra, quando c’è, approfittano di questo scarto riscoprendo la singolarità dei territori. La Lega ha avuto successo perché in maniera rabdomantica ha capito che c'erano questioni che non avevano trovato una strutturazione.
D: Un consiglio da politologo: da dove dovrebbe ricominciare un partito per riguadagnarsi la fiducia dell’elettore?
R: Secondo me adesso la priorità è di indovinare le questioni che rimangono spesso nella latenza, e possono farlo solo forze che hanno radici territoriali, sia di centrodestra che di centrosinistra: attivando meccanismi di partecipazione, ascolto e accountability nel rapporto con cittadini, imprese, enti del territorio, dialogo con la società civile. Se un partito non è nei luoghi non è da nessuna parte, perché questo paese è davvero plurale e perché la società civile si manifesta soprattutto nel locale.
fonte CP Giorgia Iazzetta
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