lunedì 28 marzo 2011
Federalismo: si della Camera al fisco regionale e provinciale
Tagli ai disabili, Gelmini condannata, dovrà ripristinare le ore di sostegno e pagare le spese.
mercoledì 23 marzo 2011
Al Via lo Sportello Antistalking Anziani On line
Presso la sede dell' associazione I.U.S - Via Olona n.19 è attivo il nuovo Sportello Antistalking, al quale possono accedere i cittadini anziani. Lo sportello è aperto al pubblico il giovedì dalle 14.00 alle 17.00 ed ha una linea telefonica sempre attiva al n. 3466872531. L'indirizzo di posta elettronica è: sportello.antistalking@gmail.com
-«[Le condotte di minaccia o molestia devono essere “reiterate”, sì da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone vicine o, infine, costringere la p. l. a modificare le sue abitudini di vita. leggi tutto »]
- [ACCADE al C.S.R.C. per Anziani " Ricordi"
- «Il Presidente del C.S.R.C. per Anziani, rivendicando il Comando assoluto del Centro, non fornisce informazioni sulla gestione 2010 e ignora gli impegni assunti »
- «Richiamato in servizio il tesoriere Salluzzi nominato con atto unilaterale del Presidente il 24 luglio 2010»
- « I membri del Comitato di gestione Bongiovanni, Donofrio, Notarnicola e Miranda alla presenza della dott.ssa Irene Pirali in data 15 marzo 2011 nei locali del Centro
anticipano la sfiducia al Presidente Rubano » leggi tutto ]
-[Aggressioni psicologiche agli anziani in aumento
L'abuso nei confronti delle persone anziane è estremamente diffuso, anche se solitamente non viene denunciato, ed ha pesanti costi finanziari ed umani.È difficile ottenere informazioni accurate sulle reali dimensioni, ma i dati provenienti dal National Elder Abuse Incidence Study (NEAIS) denunciano un fenomeno in crescente aumento.
leggi tutto ]
Lo stalker non si ferma davanti a niente
« Inizialmente si consiglia di richiedere l’”Ammonimento del Questore” rivolgendosi all’ufficio di Polizia più vicino. Nella richiesta d’ammonimento dovrà riferire esattamente tutte le notizie dei fatti verificatisi, indicando i testimoni che hanno assistito alle vicende. Successivamente, se lo stalker non desisterà dal suo comportamento, si potrà sporgere querela ed in questo caso la procedibilità diverrà d’ufficio.»
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martedì 15 marzo 2011
Giustizia: dal governo proposta di riforma costituzionale
Dossier “Riforma della giustizia: approvato il disegno di legge costituzionale”
lunedì 7 marzo 2011
L'immigrato non ruba lavoro
effetti controintuitivi di Gianmarco Ottaviano, ordinario
di economia politica alla Bocconi»
Delocalizzazione e immigrazione sono spesso ritenute responsabili della distruzione di posti di lavoro nei settori manifatturieri in Italia. Tuttavia, mentre la contrazione di questi settori negli ultimi decenni è innegabile, valutare la responsabilità della globalizzazione è difficile. Da un lato, la delocalizzazione dei processi produttivi o l’impiego di immigrati per svolgerli riduce direttamente il numero di posti disponibili per i lavoratori italiani. Dall’altro, la riduzione di costi associata a queste forme di riorganizzazione promuove la competitività delle imprese, che a loro volta possono generare nuovi posti di lavoro anche per i lavoratori italiani. L’effetto netto dipende da svariati fattori, anche istituzionali, tra cui non solo la flessibilità del mercato del lavoro e del prodotto, ma anche la capacità di reinventare l’organizzazione e la divisione dei compiti all’interno dell’impresa.
Per meglio capire come gestire efficacemente queste sfide e opportunità sarebbero di straordinaria importanza analisi empiriche comparate a livello internazionale in grado di evidenziare i punti di forza e di debolezza dei vari sistemi paese. In attesa di tali analisi, per ora indisponibili, lo stato del dibattito può essere esemplificato da un recente studio effettuato negli Stati Uniti su 58 settori manifatturieri dal 2000 al 2007 (Ottaviano, Peri, Wright, Immigration, offshoring and American jobs, National Bureau of Economic Research, working paper No. 16439, Cambridge, Mass., 2010).
Lo studio tiene dovuto conto di un fatto noto ma spesso dimenticato, e cioè che, come gli altri paesi occidentali, anche gli Stati Uniti hanno conosciuto nelle ultime decadi un calo strutturale dell’occupazione manifatturiera, dovuto alla transizione da un’economia industriale a un’economia di servizi, che quindi poco ha a che fare con la globalizzazione di per sé. In quest’ottica, la domanda giusta da porsi è se i settori manifatturieri più esposti a delocalizzazione o immigrazione abbiano perso più o meno posti di lavoro per americani rispetto agli altri settori.
Secondo lo studio, la delocalizzazione ha ridotto la quota di posti di lavoro per americani e immigrati, mentre l’immigrazione ha sì intaccato la quota di posti di lavoro delocalizzati, ma senza avere effetti significativi sulla quota di posti di lavoro per americani. In termini di mansioni svolte, la delocalizzazione ha spinto i lavoratori americani verso mansioni in media più complesse e meno routinarie e gli immigrati verso mansioni meno complesse e più routinarie. Al contrario, l’immigrazione non sembra aver avuto effetti rilevanti sul tipo di mansioni svolte dai lavoratori americani. Guardando, tuttavia, ai livelli di occupazione, invece che alle quote, la delocalizzazione non ha avuto alcun effetto rilevante sul numero di posti di lavoro per americani mentre l’immigrazione sembra aver avuto su di essi un piccolo impatto positivo. Questo testimonia l’effettiva esistenza di un effetto positivo della delocalizzazione e dell’immigrazione sulla competitività delle imprese, manifestatosi in un’espansione relativa dell’occupazione di lavoratori americani nei settori più esposti a tali fenomeni.
Nel loro insieme questi risultati indicano che, specializzandosi nelle mansioni meno complesse, gli immigrati hanno ridotto la gamma di mansioni delocalizzate senza influenzare granché il livello di occupazione e il tipo di mansioni dei lavoratori americani. I lavoratori all’estero, invece, hanno sottratto mansioni di complessità intermedia ai lavoratori americani, spingendoli verso mansioni più complesse e meno routinarie. Ciononostante, l’effetto positivo della delocalizzazione sulla competitività e la capacità di espansione delle imprese ha più che indirettamente neutralizzato qualunque effetto negativo sul livello complessivo di occupazione dei lavoratori americani.
Questo è quanto è successo negli Stati Uniti dal 2000 al 2007. Se sia accaduto o possa accadere anche in economie meno flessibili (dentro l’impresa e fuori da essa) come quelle dell’Italia e di altri paesi dell’Europa continentale, è ad oggi una questione aperta.
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martedì 1 marzo 2011
Insegnanti kaputt
Per una volta, vorrei ricordare di essere (stato) figlio di due insegnanti, che per tutta la vita si sono considerati sacerdoti dello Stato unitario. Credo che da sabato troveranno ancor meno pace nelle loro tombe. Un rinviato a giudizio per prostituzione minorile e concussione si aggrappa al potere e alla credibilità facendosi garante presso una parte della Chiesa contro un milione di maestri elementari, professori di ginnasi, licei e istituti, presidi e collaboratori scolastici, e contro un altro milione almeno di cittadini “diversi” in natura (gay) o all’anagrafe (singoli), che aspirerebbero a un’unione di fatto o a un’adozione. Il tutto, mentre dall’altra sponda del Tevere si cannoneggia contro i medici per aborti «presunti terapeutici» e i farmacisti per la pillola del giorno dopo. Sembra che il momento del massimo inabissamento morale delle nostre istituzioni rappresentative venga colto dalla parte più reazionaria della gerarchia per esasperare in termini di guerra religiosa ciò che andrebbe risolto con pragmatico realismo; e per ottenere ulteriori vantaggi legislativi e finanziari dal governo morente: come si deduce dalla comunicazione della stessa Conferenza episcopale, che nell’ultimo anno il numero degli studenti iscritti all’ora di religione è diminuito di un altro 1 per cento mentre il numero degli insegnanti di religione (prevalentemente laici e donne) è aumentato di altre 1200 unità.Ci dispiace per i tanti cattolici onesti, a cominciare dai nostri familiari, ma da cittadini siamo interessati innanzitutto alle istituzioni democratiche, sottoposte al fuoco del raìs di Arcore: e ci rivolgiamo ai ragazzi, agli insegnanti, a madri e padri perché il 12 marzo vadano alla manifestazione di Articolo 21 “Per la Costituzione e per la Scuola”, in continuità con la manifestazione delle Donne; e ci rivolgiamo al supremo garante delle istituzioni, il presidente della Repubblica, pregandolo di lavare il fango contro la scuola dello Stato con lo stesso stile e contenuto culturale dell’incontro della scorsa settimana, promosso al Quirinale, su funzione e sviluppo della lingua nei 150 anni dell’unità. Centocinquant’anni fa in Italia il 70 per cento della popolazione era analfabeta.Questo era il prodotto del feudalesimo degli stati e del monopolio scolastico della Chiesa. Sarebbe fondamentale che le grandi istituzioni culturali tornassero al Quirinale per una riflessione sui 150 anni della scuola pubblica in Italia. Il vecchio provveditore Nicola D’Amico, per anni collaboratore scolastico del Corriere della Sera (che oggi relegava la rivolta di scuole e famiglie contro Berlusconi a pagina 14), ha appena pubblicato una monografia di 800 pagine Storia e storie della scuola italiana (Zanichelli): che parte dalla riforma sabauda del 1859, legge Casati.Con la quale si iniziò la civilizzazione degli italiani e continuò il braccio di ferro tra lo stato moderno e la chiesa, iniziatosi nel 1851 con le leggi Siccardi.Quel braccio di ferro continua, come si vede, e le cialtronaggini dette sabato ai “cristiani riformisti” (riformisti?) contro la scuola pubblica ne sono un’aggiunta elettorale.La destra è impegnata da anni su un doppio binario, a parole manda alla scuola direttive europee, come «lavorare per competenze ». Nei fatti, Tremonti, Gelmini, Brunetta stravolgono finanziamenti, ordinamenti, programmi, corpi docenti, riducono le ore di presenza a scuola, si evade dai laboratori dove bisognerebbe tradurre in progetti le nozioni apprese teoricamente in aula; gli insegnanti non si aggiornano e vengono accusati di “fancazzismo” dalle Pravde arcoriane, le non poche famiglie che applaudono a Ruby tirano fuori gli artigli contro maestri e professori se solo si permettono di redarguire o dare un’insufficienza ai figli, resi scostumati e ignoranti dalla scostumatezza e dall’ignoranza di quelle famiglie.Purtroppo, errori di pedagogia, che hanno spinto verso questi traguardi, sono stati compiuti non solo da ministri dell’istruzione che nei primi decenni della repubblica “democratizzarono” la scuola pubblica e con quella splendida copertura ne iniziarono la tacita dequalificazione a favore della scuola a pagamento; ma anche da spiriti missionari cattolici e comunisti, come don Milani e Gianni Rodari, troppo ossequiati dalla cultura acritica. Ora, benché tardi, la cultura laica riporta anche loro alle loro responsabilità.Paola Mastrocola ha fatto centro nuovamente con Togliamo il disturbo.Saggio sulla libertà di non studiare (Guanda); e ci sgomenta il suo quadro di menomazione intellettuale dei ragazzi, invano mascherata dal luddismo di telecomando, tastiera, cd, pc, iPod, iPad, palmari, telefonini multiuso (compreso l’autofotografarsi lascivo) che al vescovo di San Marino, intervistato dalla Stampa, non dice nulla, come nulla dice «la moralità del premier perché il problema sono i Dico e le leggi laiciste».Don Milani – ha ricordato Cesare Segre parlando della Mastrocola – predicò in buona fede «contro il babau del nozionismo, svalutando cioè il concetto di nozione come conoscenza: donde l’avversione per il sapere letterario e in particolare linguistico, considerati appannaggio dei ricchi». E sempre in buona fede l’ottimo Gianni Rodari decretò «la vittoria della fiaba sulla razionalità e sulla storia», e trasformò l’aula scolastica in palcoscenico, dove gli scolari, «distolti dallo studio, mettevano allegramente in gara la loro pretesa inventività ».I risultati di quella «scuola del fare» sono uguali ai risultati di questo «governo del fare», forma senza sostanza, smanettamenti senza dottrina, affabulazione senza nozioni, bunga bunga senza amore, distruzione senza ricostruzione.Così Mario Draghi dice che stiamo uccidendo la nostra potenziale maggiore ricchezza, i giovani.Ma per questo delitto sono competenti i cittadini, non i pm.