Per consentire il consolidamento ed il monitoraggio dei conti pubblici, nonché il miglioramento della raccordabilità dei conti delle amministrazioni pubbliche con il Sistema europeo dei conti nazionali nell'ambito delle rappresentazioni contabili, le amministrazioni (Regioni, comuni, province, città metropolitane, comunità montane, comunità isolane e unioni di comuni), adottano un comune piano dei conti integrato. Il piano è ispirato a comuni criteri di contabilizzazione, ed è costituito dall'elenco delle articolazioni delle unità elementari del bilancio finanziario gestionale e dei conti economico-patrimoniali, definito in modo da consentire la rilevazione unitaria dei fatti gestionali. L'elenco dei conti economico-patrimoniali comprende i conti necessari per le operazioni di integrazione, rettifica e ammortamento, effettuate secondo le modalità e i tempi necessari alle esigenze conoscitive della finanza pubblica. Allo scopo di assicurare maggiore trasparenza delle informazioni riguardanti il processo di allocazione delle risorse pubbliche e la destinazione delle stesse alle politiche pubbliche settoriali, e per permettere la confrontabilità dei dati di bilancio in coerenza con le classificazioni economiche e funzionali individuate dai regolamenti comunitari, le amministrazioni pubbliche adottano uno schema di bilancio articolato per missioni e programmi che evidenzi le finalità della spesa. Sono delineati anche particolari aspetti legati alla contabilità sanitaria e finalizzati alla trasparenza dei conti del settore ed alla responsabilizzazione degli enti preposti.
Leggi Dossier “Armonizzazione sistemi contabili e schemi bilancio di Regioni, Province ed enti locali”
lunedì 20 dicembre 2010
mercoledì 15 dicembre 2010
Federalismo fiscale: rischio fallimento per amministratori con conti in rosso
Inventario di fine mandato e fallimento politico per gli amministratori che non hanno i conti a posto. Queste le novità contemplate dallo schema di decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 30 novembre 2010 in attuazione della legge 5 maggio 2009 n.42, recante “Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a Regioni, Province e Comuni”. Obiettivo del decreto: introdurre una maggiore responsabilizzazione e trasparenza del governo delle autonomie territoriali. Secondo lo schema di decreto, che prima dell’approvazione definitiva deve acquisire i pareri previsti dalla legge, il Presidente di Regione, il Presidente di Provincia e il Sindaco, in vista delle elezioni, devono redigere un inventario di fine legislatura o mandato, consistente in una rendicontazione certificata, per informare i cittadini sullo stato di salute degli enti locali (a partire dalla spesa sanitaria delle Regioni). In presenza di risultati non in linea con gli obiettivi assegnati, è previsto il “fallimento politico” del Presidente di Regione, di Provincia e del Sindaco, con sanzioni come: decadenza automatica; interdizione per dieci anni da qualsiasi carica in enti pubblici; ineleggibilità per dieci anni; restituzione da parte del partito, lista o coalizione di appartenenza, del 30% del contributo elettorale incassato. Sanzioni altrettanto pesanti sono previste per assessori e direttori generali e amministrativi. Nei confronti, invece, delle Amministrazioni che abbiano rispettato il patto di stabilità e forniscano buoni risultati nella lotta all’evasione fiscale: se hanno contribuito agli accertamenti, potranno incassare fino al 50% delle maggiori somme riscosse a titolo definitivo di tributi statali.
Dossier “Premi e sanzioni con il federalismo fiscale”
Dossier “Premi e sanzioni con il federalismo fiscale”
lunedì 6 dicembre 2010
LA SCOMPARSA DELLA GRANDE INDUSTRIA IN ITALIA
(E A TORINO IN PARTICOLARE)
Il convegno organizzato da Labouratorio Buozzi a Torino sabato 27 novembre ha avuto, per quantità di partecipanti e qualità degli interventi, un carattere quasi seminariale di notevole interesse.
Il convegno organizzato da Labouratorio Buozzi a Torino sabato 27 novembre ha avuto, per quantità di partecipanti e qualità degli interventi, un carattere quasi seminariale di notevole interesse.
I tre relatori (Brunazzi, Revelli e Renzi) introdotti da un intervento ampio e incisivo di Allamano, hanno richiamato il dato storico costituito dalla scomparsa, negli ultimi trenta/quarant’anni, della grande industria in Italia.
I primi due interventi hanno sottolineato le fasi storiche di tale fenomeno, del resto lucidamente già descritto da Luciano Gallino in suo saggio del 2003 e anticipato da un breve saggio altrettanto anticipatorio di Giuseppe Berta del 1997.
Renzi ha invece analizzato la vicenda storica della Olivetti, anzi, l”olivetticidio”, come lo ha argutamente definito quale caso emblematico del catastrofico abbandono di una industria decisiva per la modernizzazione e la competitività dell’industria italiana sulla scena internazionale.
I primi due interventi hanno sottolineato le fasi storiche di tale fenomeno, del resto lucidamente già descritto da Luciano Gallino in suo saggio del 2003 e anticipato da un breve saggio altrettanto anticipatorio di Giuseppe Berta del 1997.
Renzi ha invece analizzato la vicenda storica della Olivetti, anzi, l”olivetticidio”, come lo ha argutamente definito quale caso emblematico del catastrofico abbandono di una industria decisiva per la modernizzazione e la competitività dell’industria italiana sulla scena internazionale.
Tutti i relatori hanno convenuto che a determinare tale catastrofe economica, sociale e culturale, in realtà a lungo minimizzata e mistificata nell’informazione pubblica corrente, hanno contribuito vari fattori. Alcuni oggettivi, in quanto scaturiti dalle mutate condizioni
dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale, della struttura dei mercati, delle formidabili innovazioni tecnologiche, dal ruolo egemonico assunto dal capitalismo finanziario rispetto a quello produttivo; altri soggettivi, dipendenti da un deficit di cultura industriale dei tre principali attori del processo economico, e cioè gli industriali stessi, i sindacati e la classe politica nel suo
insieme, tanto di governo che di opposizione, quale si è avvicendata nelle diverse espressioni partitiche nel corso del trentennio trascorso.
In particolare, fondamentale è risultata l’assenza di una visione strategica del ruolo di alcuni settori industriali decisivi (informatica, elettronica, chimica, energetica, farmaceutica, aviazione civile) nel determinare la modernizzazione economica del sistema paese e non per caso scomparsi dalla scena produttiva o comunque drasticamente ridimensionati o frammentati in funzioni subalterne.
A ciò ha potentemente contribuito l’affermarsi di quel “pensiero unico” neo e ultra-liberale, dogmaticamente monetarista, che ha pesantemente contaminato e contagiato in tutta Europa anche gran parte dei partiti, degli esponenti politici, sindacali e intellettuali tradizionalmente ascrivibili alle tradizioni socialiste e socialdemocratiche.
dell’organizzazione del lavoro a livello mondiale, della struttura dei mercati, delle formidabili innovazioni tecnologiche, dal ruolo egemonico assunto dal capitalismo finanziario rispetto a quello produttivo; altri soggettivi, dipendenti da un deficit di cultura industriale dei tre principali attori del processo economico, e cioè gli industriali stessi, i sindacati e la classe politica nel suo
insieme, tanto di governo che di opposizione, quale si è avvicendata nelle diverse espressioni partitiche nel corso del trentennio trascorso.
In particolare, fondamentale è risultata l’assenza di una visione strategica del ruolo di alcuni settori industriali decisivi (informatica, elettronica, chimica, energetica, farmaceutica, aviazione civile) nel determinare la modernizzazione economica del sistema paese e non per caso scomparsi dalla scena produttiva o comunque drasticamente ridimensionati o frammentati in funzioni subalterne.
A ciò ha potentemente contribuito l’affermarsi di quel “pensiero unico” neo e ultra-liberale, dogmaticamente monetarista, che ha pesantemente contaminato e contagiato in tutta Europa anche gran parte dei partiti, degli esponenti politici, sindacali e intellettuali tradizionalmente ascrivibili alle tradizioni socialiste e socialdemocratiche.
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