lunedì 6 novembre 2017
Elezioni in Sicilia, vince Musumeci con il 39,8%. A Cancelleri il 34,7%. Sconfitta pesante per il centrosinistra
Successo del centrodestra sul Movimento 5 stelle. Micari si ferma al 18,7%, Fava al 6,1%
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LA NUOVA ASSEMBLEA REGIONALE
lunedì 16 ottobre 2017
Mobilità, sicurezza, ambiente e cultura: Milano e San Paolo rafforzano gli ambiti della collaborazione
Si è svolto a Palazzo Marino l’incontro tra i rappresentanti delle due Amministrazioni, per ribadire l’impegno preso nel 1961.
Milano, 13 ottobre 2017 – Mobilità, sicurezza, ambiente e cultura. Sono questi gli ambiti su cui le città di Milano e di San Paolo si sono impegnate a lavorare insieme, in vista di un futuro accordo di collaborazione, per dare forma sempre più concreta al gemellaggio che le vede unite dal 1961.
Per quanto differenti nelle dimensioni, infatti, Milano e San Paolo sono città innovative, dinamiche e attrattive, un punto di riferimento sia per le rispettive aree metropolitane sia per i rispettivi Paesi, l’Italia e il Brasile.
I rappresentanti delle due Amministrazioni si sono incontrati questa mattina a Palazzo Marino, dove hanno discusso delle sfide che entrambe le città sono chiamate ad affrontare e della possibilità di condividere soluzioni pratiche a problemi comuni: dall’efficienza del sistema di raccolta dei rifiuti milanese che la città brasiliana considera un modello da replicare all’azione coordinata sul fronte della sicurezza.
L’incontro di oggi segna dunque un nuovo passo avanti nella storia delle relazioni tra il capoluogo lombardo e la città brasiliana.
mercoledì 11 ottobre 2017
La Catalogna di fronte all'Europa
editoriale di Beniamino Caravita
Questa Rivista è nata quasi quindici anni fa, intorno ad un gruppo di persone via via allargatosi, che si riconoscevano in due idee forti: la crisi, forse insuperabile, del modello europeo dello Stato nazionale, malamente importato nel resto del globo terraqueo e ormai in difficoltà anche nel continente che lo aveva originato; il fascino, forse irresistibile, dei modelli federali pensati come un continuum in cui si potevano tenere insieme i modelli di Unione di Stati fino ai modelli di Stato regionale. Sottesa a queste idee, pur se non dichiarata, la fascinazione teorica del superamento europeo degli stati nazionali verso un modello in cui in un'Europa unita convivessero più facilmente realtà minori dei vecchi, tradizionali, obsoleti Stati nazionali. Alla fine del XX secolo, gli Stati nazionali europei sembravano giunti alla fine della corsa e, nella convinzione della irreversibilità dalla costruzione europea, non trovavano quasi più nessuno che li rimpiangesse; in fondo dei conti erano stati loro i responsabili delle due più grandi tragedie della storia contemporanea: il colonialismo e le due grandi guerre, veri e propri orrori che avevano un solo padre, il nazionalismo di matrice europea. Negli ultimi due decenni del XX secolo fu un grande fiorire di iniziative che diversamente si richiamavano a principi di regionalizzazione e di crescita delle autonomie territoriali: in Francia, la creazione delle Regioni risale agli anni ‘80; in Spagna il fenomeno autonomistico si rafforza; in Polonia, subito dopo la caduta del comunismo, si procede alla rivitalizzazione e al rafforzamento dei tradizionali Voivodati; in Belgio, la costituzione del 1993 segna il definitivo passaggio ad un modello federale; in Gran Bretagna si assiste ad un significativo rafforzamento dei parlamenti scozzese, gallese e nordirlandese e alla creazione delle Regioni in Inghilterra; in Italia, prendono le mosse quei fenomeni politici che condurranno alle leggi Bassanini, per l'introduzione del federalismo a Costituzione vigente, alla legge costituzionale n. 1 del 1999, sull’elezione diretta del Presidente della Regione e alla legge costituzionale n. 3 del 2001, che aumenterà oltre misura i poteri regionali. Erano gli anni di ascesa del ruolo del Comitato delle Regioni nel confronto fra le istituzioni europee (che invece non troverà posto tra istituzioni europee nel Trattato di Lisbona), della conferenza delle regioni con poteri legislativi, delle Euroregioni, che sembravano talvolta sfidare gli Stati nazionali sulle politiche di settore (si pensi alle politiche della pesca o alle politiche di tutela del mare o alle politiche dei trasporti transeuropei); Erano, infine, gli anni dei mitici “Quattro motori di Europa”, che vedeva radunati la Lombardia, il Rhône-Alpe, il Baden-Wüttenberg, e, guarda caso, la Catalogna: una grande lobby territoriale, attraverso la quale le Regioni più ricche dell'Europa cercavano un dialogo diretto con le istituzioni comunitarie, aggirando o scavalcando gli Stati. E tali fenomeni istituzionali erano guardati, se non con favore, almeno con occhio benevolo, dalle istituzioni europee che in essi trovavano un importante riferimento extrastatuale. Il Trattato di Lisbona ha bloccato questa spirale. Il processo europeo può sì ripartire - questo era l’auspicio sotteso all'approvazione del testo - ma la partita deve tornare in mano agli Stati. L’istituzionalizzazione del metodo intergovernativo aveva proprio e specificamente questo significato: il federalizing process può continuare, ma saranno gli Stati nazionali, pur controllati da una Corte di Giustizia che assumerà il ruolo di custode giudiziario dei Trattati, non la Commissione, né altri soggetti estemporaneamente presenti nel tessuto istituzionale europeo, a decidere tempi, portata e direzione del processo. Bisognava, in quel momento, richiamare alla mente il vecchio insegnamento di Kelsen secondo cui non può esistere un doppio livello di federalismo, uno superstatuale, l'altro infrastatuale... (segue) Scarica il Documento integrale
Questa Rivista è nata quasi quindici anni fa, intorno ad un gruppo di persone via via allargatosi, che si riconoscevano in due idee forti: la crisi, forse insuperabile, del modello europeo dello Stato nazionale, malamente importato nel resto del globo terraqueo e ormai in difficoltà anche nel continente che lo aveva originato; il fascino, forse irresistibile, dei modelli federali pensati come un continuum in cui si potevano tenere insieme i modelli di Unione di Stati fino ai modelli di Stato regionale. Sottesa a queste idee, pur se non dichiarata, la fascinazione teorica del superamento europeo degli stati nazionali verso un modello in cui in un'Europa unita convivessero più facilmente realtà minori dei vecchi, tradizionali, obsoleti Stati nazionali. Alla fine del XX secolo, gli Stati nazionali europei sembravano giunti alla fine della corsa e, nella convinzione della irreversibilità dalla costruzione europea, non trovavano quasi più nessuno che li rimpiangesse; in fondo dei conti erano stati loro i responsabili delle due più grandi tragedie della storia contemporanea: il colonialismo e le due grandi guerre, veri e propri orrori che avevano un solo padre, il nazionalismo di matrice europea. Negli ultimi due decenni del XX secolo fu un grande fiorire di iniziative che diversamente si richiamavano a principi di regionalizzazione e di crescita delle autonomie territoriali: in Francia, la creazione delle Regioni risale agli anni ‘80; in Spagna il fenomeno autonomistico si rafforza; in Polonia, subito dopo la caduta del comunismo, si procede alla rivitalizzazione e al rafforzamento dei tradizionali Voivodati; in Belgio, la costituzione del 1993 segna il definitivo passaggio ad un modello federale; in Gran Bretagna si assiste ad un significativo rafforzamento dei parlamenti scozzese, gallese e nordirlandese e alla creazione delle Regioni in Inghilterra; in Italia, prendono le mosse quei fenomeni politici che condurranno alle leggi Bassanini, per l'introduzione del federalismo a Costituzione vigente, alla legge costituzionale n. 1 del 1999, sull’elezione diretta del Presidente della Regione e alla legge costituzionale n. 3 del 2001, che aumenterà oltre misura i poteri regionali. Erano gli anni di ascesa del ruolo del Comitato delle Regioni nel confronto fra le istituzioni europee (che invece non troverà posto tra istituzioni europee nel Trattato di Lisbona), della conferenza delle regioni con poteri legislativi, delle Euroregioni, che sembravano talvolta sfidare gli Stati nazionali sulle politiche di settore (si pensi alle politiche della pesca o alle politiche di tutela del mare o alle politiche dei trasporti transeuropei); Erano, infine, gli anni dei mitici “Quattro motori di Europa”, che vedeva radunati la Lombardia, il Rhône-Alpe, il Baden-Wüttenberg, e, guarda caso, la Catalogna: una grande lobby territoriale, attraverso la quale le Regioni più ricche dell'Europa cercavano un dialogo diretto con le istituzioni comunitarie, aggirando o scavalcando gli Stati. E tali fenomeni istituzionali erano guardati, se non con favore, almeno con occhio benevolo, dalle istituzioni europee che in essi trovavano un importante riferimento extrastatuale. Il Trattato di Lisbona ha bloccato questa spirale. Il processo europeo può sì ripartire - questo era l’auspicio sotteso all'approvazione del testo - ma la partita deve tornare in mano agli Stati. L’istituzionalizzazione del metodo intergovernativo aveva proprio e specificamente questo significato: il federalizing process può continuare, ma saranno gli Stati nazionali, pur controllati da una Corte di Giustizia che assumerà il ruolo di custode giudiziario dei Trattati, non la Commissione, né altri soggetti estemporaneamente presenti nel tessuto istituzionale europeo, a decidere tempi, portata e direzione del processo. Bisognava, in quel momento, richiamare alla mente il vecchio insegnamento di Kelsen secondo cui non può esistere un doppio livello di federalismo, uno superstatuale, l'altro infrastatuale... (segue) Scarica il Documento integrale
Rajoy chiede chiarimenti, Psoe accusa Puigdemont
Non è piaciuta a nessuno la dichiarazione d’indipendenza a ‘metà’ del presidente Puigdemont, non ha soddisfatto gli indipendentisti così come non è stata gradita da Madrid. Dopo il discorso ddi Barcellona, ora a rispondere è il premier Mariano Rajoy che chiede chiarimenti a Carles Puigdemont sulla dichiarazione (o meno) dell’indipendenza della Catalogna.
“Il Consiglio dei ministri ha concordato di chiedere formalmente alla Generalitat di confermare se ha dichiarato l’indipendenza della Catalogna”, è questo il comunicato che arriva alla fine dei lavori del consiglio dei Ministri straordinario convocato mercoledì mattina sulla crisi catalana, il giorno dopo l’atteso discorso del presidente catalano.
In seguito si valuterà come procedere, compreso il ricorso all’articolo 155 della Costituzione, che prevede la sospensione dell’autonomia di una regione e di cui “la richiesta di chiarezza” è il primo passo formale. L’articolo 155 non specifica infatti quali ‘poteri speciali’ possano essere esercitati dal governo spagnolo, che sembra così essere autorizzato a mettere in campo qualunque strumento per porre rimedio alla questione e obbligare la Catalogna “all’adempimento forzato” degli “obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi”.
Attraverso questo specifico articolo della Costituzione, infatti, Rajoy e il suo governo potrebbero, almeno in teoria e previa autorizzazione del Senato, adottare provvedimenti che spazierebbero dalla diminuzione dei poteri ai membri del Parlamento catalano alla sostituzione del presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, con un rappresentante nominato dall’esecutivo iberico, fino alla convocazione di nuove elezioni e, addirittura e nel peggiore fra gli scenari possibili, allo scioglimento del Parlamento.
E mentre il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, si sta orientando verso la possibile attuazione dell’articolo 155 della Costituzione, che di fatto commissaria la Catalogna, il PSOE accusa Puigdemont di aver abusato della buona fede di chi ha chiesto la mediazione e appoggia pienamente il Governo presieduto da Rajoy. Il primo ministro spagnolo si è incontrato nella notte con il leader del partito socialista Pedro Sanchez che ha ha fatto sapere che il Psoe, il principale partito di opposizione, appoggerà “le misure costituzionali” che prenderà il premier Mariano Rajoy nella crisi catalana se a risposta del presidente Carles Puigdemont al suo ultimatum sarà negativa e dichiarerà quindi ufficialmente l’indipendenza della Catalogna.
“Il Consiglio dei ministri ha concordato di chiedere formalmente alla Generalitat di confermare se ha dichiarato l’indipendenza della Catalogna”, è questo il comunicato che arriva alla fine dei lavori del consiglio dei Ministri straordinario convocato mercoledì mattina sulla crisi catalana, il giorno dopo l’atteso discorso del presidente catalano.
In seguito si valuterà come procedere, compreso il ricorso all’articolo 155 della Costituzione, che prevede la sospensione dell’autonomia di una regione e di cui “la richiesta di chiarezza” è il primo passo formale. L’articolo 155 non specifica infatti quali ‘poteri speciali’ possano essere esercitati dal governo spagnolo, che sembra così essere autorizzato a mettere in campo qualunque strumento per porre rimedio alla questione e obbligare la Catalogna “all’adempimento forzato” degli “obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi”.
Attraverso questo specifico articolo della Costituzione, infatti, Rajoy e il suo governo potrebbero, almeno in teoria e previa autorizzazione del Senato, adottare provvedimenti che spazierebbero dalla diminuzione dei poteri ai membri del Parlamento catalano alla sostituzione del presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, con un rappresentante nominato dall’esecutivo iberico, fino alla convocazione di nuove elezioni e, addirittura e nel peggiore fra gli scenari possibili, allo scioglimento del Parlamento.
E mentre il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, si sta orientando verso la possibile attuazione dell’articolo 155 della Costituzione, che di fatto commissaria la Catalogna, il PSOE accusa Puigdemont di aver abusato della buona fede di chi ha chiesto la mediazione e appoggia pienamente il Governo presieduto da Rajoy. Il primo ministro spagnolo si è incontrato nella notte con il leader del partito socialista Pedro Sanchez che ha ha fatto sapere che il Psoe, il principale partito di opposizione, appoggerà “le misure costituzionali” che prenderà il premier Mariano Rajoy nella crisi catalana se a risposta del presidente Carles Puigdemont al suo ultimatum sarà negativa e dichiarerà quindi ufficialmente l’indipendenza della Catalogna.
lunedì 9 ottobre 2017
Perché la Catalogna se ne vuole andare
NOTA di Giancarlo Pagliarini RICEVIAMO E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
Buongiorno.
Questa settimana sarà cruciale per Catalogna e Spagna.
Il primo di Ottobre ho partecipato al referendum della
Catalogna come “osservatore internazionale” . Nella circostanza ho avuto anche
modo di discutere con membri del loro Parlamento, sia di maggioranza, che di
opposizione, ed ho avuto la conferma che il momento d’inizio di tutto quello che sta
succedendo in questi giorni è il 28 giugno 2010.
In breve:
* Dal 1978
esistono in Spagna 17 Comunità autonome. Sono previste dal Titolo VIII della Costituzione del 1978, con la quale era stato disegnato un ordinamento di
tipo regionale dopo il centralismo del periodo della dittatura franchista.
* Nel 1979,
quattro anni dopo la morte di Franco, era stato approvato anche lo
Statuto della Catalogna
* Per poco
meno di 30 anni, dal 1979 al 2006, in Catalogna si è lavorato per
migliorare quel testo. Nel 2006 il Parlamento Catalano , con il voto favorevole
di 120 membri su 135, aveva presentato il testo di un nuovo Statuto al governo
di Madrid.
* Le due
Camere del Parlamento Spagnolo lo avevano esaminato, emendato e approvato.
Mariano Rajoy era all’opposizione
* Dopo
l’approvazione di Madrid il 18 Giugno 2006 quel testo era stato approvato con
referendum dal popolo Catalano. I voti favorevoli erano stati del 73,9%, e il
re lo aveva firmato.
* Tutto a
posto? Purtroppo no: Mariano Rajoy va al governo, vengono raccolte delle firme
e il 28 Giugno 2010 la corte costituzionale riscrive 14 articoli e cambia
l’interpretazione di altri 27 articoli di quello Statuto che era
stato approvato quattro anni prima dal Parlamento Spagnolo
* Se la
corte costituzionale non avesse disatteso, dopo quattro anni, la decisione del
Parlamento Spagnolo adesso la situazione sarebbe diversa. Jacopo Rosatelli ha
scritto sul Manifesto dell’8 Ottobre che “la separazione dal resto della
Spagna era un’opzione difesa da settori ultra-minoritari”. La sentenza della
corte costituzionale del 28 Giugno 2010 ha quadruplicato il numero dei
secessionisti e gli interventi e le botte dispensate dalla Guardia Civile
l’1 Ottobre hanno fatto
crescere il loro numero al 70-80% stimato in questi giorni. Per la
cronaca, tutti i “secessionisti” con cui ho discusso non mi hanno parlato di
tasse o di economia: la parola più ripetuta era “dignità”.
Le allego un articolo che ho appena pubblicato
su questo argomento.
Con viva cordialità
Perché la Catalogna se ne vuole
andare
Ecco la lunga storia del rapporto tormentato tra
Barcellona e Madrid, tra richieste di
autodeterminazione
e protervia centralista. Fino alla data chiave
del 28
giugno 2010, quando la Corte Costituzionale
annulla
anche lo Statuto di Autonomia. È lo strappo
finale, e
l'esito ultimo è il referendum...
di Giancarlo Pagliarini
In
questi giorni la Catalonia è sulle prime pagine di tutti i giornali. Domenica 1 Ottobre in
Catalonia
è
stata scritta una importantissima pagina di storia. Vediamo come si è arrivati
al referendum,
anche
perché non tutti sanno che “è tutta colpa del 28 Giugno 2010”.
1)
Nel 1931 era stata proclamata la Repubblica Catalana all’interno
della Federazione iberica. Lo
ricordo
perché mi da molto fastidio leggere che i Catalani adesso vogliono la
secessione perché sono
ricchi
e non vogliono mantenere i territori più poveri. È una sciocchezza.
2)
Quella autoproclamazione preoccupò il governo provvisorio della nuova Seconda Repubblica
Spagnola.
Quei signori erano meno (autocensura) di Mariano Rajoy e del re Filippo VI e
mandarono
a Barcellona tre ministri con il compito di trovare una mediazione. Fu così che
nacque la
Generalitat de Catalunya, dotata forme di autonomia
3)
Ometto il resto. Conclusa la Guerra
civile spagnola nel 1939, la dittatura militare
abrogò le
istituzioni
catalane, più di 200 mila andarono in esilio, il Presidente della Catalonia
Lluis Companys
venne
giustiziato, venne perfino vietato
l’uso della lingua catalana eccetera
eccetera. In pratica
da
quel momento in Catalonia dovevi avere il permesso di Madrid anche per
respirare.
4)
Nel Dicembre 1978 si approva la nuova Costituzione e il
regime franchista si converte in una
monarchia
parlamentare. Silvia Ragusa scrive su Linkiesta del 2 Ottobre
2017: “… il primo ottobre
non
ha a che fare solo con un referendum per l’indipendenza: la Catalogna si
ribella contro un partito
popolare
che in quegli anni agglutinava ex dirigenti franchisti,…. In quarant’anni di
democrazia,
nessun
politico, né del partito popolare, né del partito socialista, si è mai
interrogato su alcune
questioni chiave per la democrazia spagnola: indire un referendum che tasti il polso delle
preferenze
attuali tra una monarchia o una repubblica; abbattere el Valle de los Caídos,
dove ancora
oggi
giace preservato il dittatore….”
5)
Lo Statuto di autonomia della
Catalonia è del 1979. Ma non piace ai
Catalani, non è rispettato
dallo
stato centrale e non identifica le caratteristiche e la diversità della Catalonia all’interno
di
una Spagna pluralistica
6)
Elezioni del 2003: l’88% degli eletti nel parlamento della Catalonia sono a
favore di un nuovo
Perché
la Catalogna se ne vuole andare - L'intraprendente | L'intraprendente 06/10/17,
21)27
http://www.lintraprendente.it/2017/10/perche-la-catalogna-se-ne-vuole-andare/
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Statuto
di autonomia che sostituisca quello del 1979. Zapatero si impegna a
supportare il nuovo
Statuto
che la Catalonia dovrà presentare al Parlamento di Madrid per la sua
approvazione.
7)
Settembre 2005. Il parlamento Catalano approva il nuovo Statuto di autonomia con 120 voti a
favore
su 135 e lo presenta a Madrid. Le leggi che tanto piacciono a Mariano Rajoy e
al re prevedono 1)
che
il documento deve essere approvato dal parlamento di Madrid e 2) che dopo dovrà
essere
approvato
dai cittadini catalani con un referendum
8)
Maggio 2006. Le due camere del Parlamento spagnolo approvano il nuovo Statuto
di autonomia
della
Catalonia, dopo averlo significativamente modificato, riducendo le libertà e la dignità della
Catalonia.
9)
Giugno 2006. In Catalonia Zapatero viene criticato per non aver mantenuto le promesse
fatte nel
2003 (vedi il precedente punto 6). Il testo emendato uscito dal Parlamento di
Madrid viene
comunque
approvato dai cittadini col referendum del 18 Giugno 2006. Il re firma il testo
che diventa
una
legge ufficiale dello stato spagnolo. In quel testo la Catalonia è riconosciuta
come una
“nazione” all’interno dello stato spagnolo.
10)
Tutto a posto dunque? Nemmeno per sogno, perché dopo quattro anni, il 28 Giugno
2010, la
corte costituzionale, con una maggioranza di 6 membri contro 4, riscrive 14 articoli
dello Statuto
di
autonomia (approvato 4 anni prima dal Parlamento di Madrid ed approvato dai
cittadini con
referendum!)
e reinterpreta altri 27 articoli. La parola “nazione” viene cancellata. Quello che sta
succedendo
in questi giorni è stato deciso da 10 signori seduti in una stanza con le porte
chiuse:
incredibile! Questo perché Mariano Rajoy (a mio modesto giudizio in pieno
accordo col re)
aveva
cominciato subito, nel 2006, a raccogliere firme e a lavorare perché lo Statuto
di Autonomia
approvato
dal parlamento di Madrid fosse “assassinato”. Ci è riuscito. Ed è riuscito
anche a
quadruplicare il numero degli indipendentisti
Catalani.
11)
Alla “Diada” dell’11 Settembre 2012 più di 1,5 milioni di cittadini
protesta contro la decisione dei
dieci
giudici della corte costituzionale. Come reazione alla assurda decisione di
“uccidere” lo Statuto di
Autonomia
si grida che la Catalonia sarà un prossimo stato membro dell’Unione Europea. Il
governo
di Madrid e il re non fanno una piega, continuano a non capire niente dei
Catalani.
12)
Novembre 2012. Elezioni in Catalonia. 107 membri del Parlamento su 135 , a questo punto ,
anche
sulla base del comportamento di Madrid, sono a favore di un referendum per
l’indipendenza.
13)
Marzo 2013. Il Parlamento Catalano chiede al Presidente Artur Mas di
negoziare col governo di
Madrid
lo svolgimento di un referendum per l’autodeterminazione della Catalonia. Il re
non parla (e
in
Catalonia cominciano a chiamarlo il “desaparecido”) e da Madrid arrivano solo
dei no
14)
Diada dell’11 Settembre 2013: una catena umana di 400 km dal nord al sud della
Catalonia chiede
l’indipendenza.
Da Madrid niente.
15)
Gennaio 2014. Il Parlamento della Catalonia chiede formalmente al governo di
Madrid di
trasferire
a Barcellona i poteri necessari per organizzare un referendum sulla
indipendenza, come
Westminster aveva appena fatto con la Scozia. Questa richiesta formale è stata ormai avanzata
18
volte. Diciotto!
16)
Diada dell’11 Settembre 2014. È la Diada numero 300. Tutto era cominciato nel
1714. I discorsi
ufficiali
si fanno alle 17 e 14 del pomeriggio. Alla
Diada partecipano 1,8 milioni di cittadini. Di tutta
Europa. Con i colori giallo e rosso della magliette si forma a
Barcellona una enorme V , che sta per
“VOTO“. Il
vertice è nella nuova piazza de las Glories e le due gambe sono lungo la
Diagonal e lungo
la
Gran Via. Da Madrid sempre niente.
17)
19 Settembre 2014. A differenza di Londra Madrid continua a non dare il
permesso. Assurdo! E
allora
il Parlamento Catalano decide di “consultare i cittadini”. Il 27 Settembre il
Presidente Artur
Mas
firma il decreto per la consultazione, che avverrà il 9 Novembre
18)
29 Settembre 2014: solo due giorni dopo la firma, ecco che la corte
costituzionale interviene e
sospende temporaneamente anche la consultazione
popolare decisa dal Parlamento
Catalano
19)
4 Ottobre 2014. 920 sindaci, su un totale di 947, vanno a Barcellona e chiedono di
effettuare la
“consultazione
popolare” fissata per il 9 Novembre
20)
14 Ottobre 2014. La corte costituzionale sospende temporaneamente la
“consultazione popolare”?
Va
bene, nessun problema, scatta il piano B. Invece di chiamarla “consultazione
popolare” si decide di
chiamarla
” partecipazione dei cittadini
alle decisioni” , una procedura prevista dallo
Statuto di
Autonomia
, quello decapitato dalla corte costituzionale il 28 Giugno 2010.
21)
4 Novembre 2014. Naturalmente la corte costituzionale sospende anche il
referendum per la
“partecipazione
dei cittadini alle decisioni”. Ma di cosa hanno paura? Perché continuano a impedire
ai cittadini di dire come la pensano?
22)
La corte continua a bloccare tutto? Ma a Madrid non sanno di che pasta sono
fatti i Catalani. In
tempo
reale ecco che molte organizzazioni non governativo
(NGO: non governamental
organizations)
saltano fuori e sono loro che organizzano il referendum
23)
9 Novembre 2014. Si svolge il referendum . Votano più di 2,3 milioni di
cittadini, con questi
risultati:
80,76% vuole l’indipendenza. 4,54% non vuole cambiare niente. 10,07% vuole cambiare
ma
non necessariamente con un processo di indipendenza. Il resto sono schede nulle
24)
12 Novembre 2014. Questa volta Madrid non sta zitta. Rajoy dice che quello del
9 Novembre non
era
stato un voto democratico ma un atto di propaganda politica. Avevano votato in 2,3 milioni ma
questa
non sembra sia una informazione importante.
Perché
la Catalogna se ne vuole andare - L'intraprendente | L'intraprendente 06/10/17,
21)27
http://www.lintraprendente.it/2017/10/perche-la-catalogna-se-ne-vuole-andare/
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25)
21 Novembre 2014. Lo stato spagnolo incrimina
il Presidente Mas , due dei suoi ministri e alcuni
funzionari
perché non hanno bloccato il referendum e per
altri
delitti.
26)
27 Settembre 2015. Si decide di fare nuove elezioni in
Catalonia.
I partiti che dichiarano di volere
l’indipendenza
prendono il 47,8% dei voti, e il 13,1% va a
partiti
a favore del principio di “autodeterminazione”. In
totale
60,9%. Gli “unionisti” con Madrid raccolgono il
39,1%
27)
Marzo 2017. L’ex Presidente Artur Mas viene
formalmente
condannato per il referendum del 9
Novembre
2014. Sono in corso altri 400 processi per gli
stessi
“delitti” : voler far votare i
cittadini e cose
del genere.
28)
22 Maggio 2017. Il Governo della Catalonia ( il
Presidente
Puigdemont, il vice Presidente Junqueras e il
ministro
degli esteri Romeva) va ancora formalmente a
Madrid
a chiedere di poter far parlare i cittadini. Di
poterli
fare votare. Nel giro di 24 ore Rajoy risponde che
non
ci sarà nessun referendum.
29)
9 Giugno 2017. A questo punto Carles Puigdemont, che è il Presidente della
Catalonia dal 10
Gennaio
2016 , annuncia che i cittadini Catalani devono poter votare. Si svolgerà un
Referendum e la
domanda
sarà “Vuoi che la Catalonia diventi
una Repubblica indipendente?”
30)
Il Parlamento della Catalonia approva la legge sul referendum del 1 Ottobre
2017. È la legge
numero
19/2017. Sono 34 articoli. L’articolo 1 fa riferimento ai diritti civili e politici, economici,
sociali e culturali approvati dall’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite il 19
Dicembre
1966.
L’articolo 4 prevede (comma 4) che, se vinceranno i “SI” “dins els dos dies
següents a la
proclamació
dels resultats oficials per la Sindicatura Electoral, celebrarà una sessió
ordinària per
efectuar
la declaració formal de la independència de Catalunya, concretar els seus
efectes i iniciar el
procés
constituent”. Il comma 5 invece prevede nuove elezioni se vinceranno i “NO”.
Sappiamo che
hanno
stravinto i “SI” e quindi probabilmente lunedì il Parlamento proclamerà
formalmente
l’indipendenza
della Catalonia. Vedremo cosa succederà, senza dimenticare la (assurda!)
sentenza
della corte
costituzionale del 28 Giugno 2010
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